Frieda McFadden è considerata il nuovo fenomeno della narrativa americana, con romanzi che rappresentano un giusto connubio tra suspense psicologica e colpi di scena, ma soprattutto creano dipendenza. In merito all’ultima affermazione, le sue sono pagine che scorrono evocative, veloci, dalla prima all’ultima. Tanto che la storia si legge d’un fiato, perché coinvolge e non si può assolutamente lasciare a metà.
È quanto è successo a chi scrive con La donna della porta accanto (Newton Compton Editori, giugno 2025), il quarto libro della serie con protagonista la ex domestica Millie dal passato oscuro. Dopo Una di famiglia, Nella casa dei segreti e Finché morte non ci separi, ritroviamo Millie che si è appena trasferita dal Bronx in una bella villetta di Long Island, un posto sicuro in cui far crescere dei figli. Millie Accardi è sposata con Enzo, un bell’uomo di origine italiana, e ha due ragazzi di undici e nove anni, rispettivamente una femmina e un maschio.
Il dubbio si insinua da subito, sin dal giorno del trasloco. Sarà mica stato un errore, lasciare la vecchia casa? Perché i vicini che circondano quel fabbricato situato in una via chiusa, senza uscita, sono alquanto strani. L’affascinante e ricca signora Lowell si dimostra piuttosto invadente, nonostante finga di avere delle buone intenzioni. Sempre pronta a fare paragoni tra sé e Millie, tanto che quest’ultima teme che abbia delle mire su Enzo. Senza contare l’altra vicina, una donna sciatta che passa tutto il tempo a spiare la gente dalla finestra e tiene il proprio figlioletto al guinzaglio. A fin di bene, s’intende, dato che nel quartiere anni prima è scomparso un bambino della stessa età, e lei teme per l’incolumità del figlio. Eppure doveva essere una zona tranquilla! Com’è possibile?
Quali siano le intenzioni, Millie trova entrambe le sue vicine eccessive, chi per un verso e chi per un altro. Per fortuna c’è il signor Lowell, a bilanciare i piani. Poco considerato dalla consorte, ma almeno non un uomo sopra le righe.
Senza contare che il mutuo si rivela troppo alto e la famiglia di Millie viene assalita da problemi di natura economica da non sottovalutare.
I colpi di scena, di cui Freida McFadden è maestra, si succedono a profusione, tanto che il lettore rimane ipnotizzato da una storia che mette in scena diverse dinamiche familiari. E così il dubbio sale, si moltiplica. Enzo dirà la verità a Millie, a proposito dei suoi continui spostamenti? Che guarda caso, hanno quasi sempre il giardino dei Lowell come meta, fermo restando che lui è un ingegnere paesaggista e proprio lì ha accettato una proposta di lavoro. I figli di Millie danno segni evidenti di disagio, ma siamo sicuri che sia dovuto semplicemente al cambio di vita? Oppure qualcosa di molto vicino li opprime? Il male si annida per caso in quel quartiere così benestante, in cui loro sono andati a vivere? Perché le apparenze risultano difficili da interpretare.
Dopo avere sospettato di tutti, compresa la donna di servizio dei Lowell che continua a fissare Millie in modo sfacciato e la mette a disagio, il finale si profila davvero a sorpresa e col botto.
Millie conosce quella posizione di sudditanza, essendo stata anche lei una domestica in casa d’altri, anni prima, con un passato da occultare e che spera nessuno venga mai a sapere.
Punto di forza del romanzo, oltre alla prosa semplice e cinematografica, è un buon incastro di trama. L’autrice è brava a dipanare la matassa, senza che alla fine restino dei particolari fuori posto. Ma soprattutto, per quante ne possano capitare a Millie, evita di imprimere al personaggio un’aura da perdente, con elucubrazioni petulanti buttate lì per dovere. Millie sa sempre cosa fare e non perde di certo tempo a commiserare se stessa. Si mantiene ottimista, nonostante tutto. Un atteggiamento che il lettore apprezza, perché propositivo.
Esente da inutili lagnanze e foriero di speranza.