Romano De Marco: Il Noir? Snobbarlo è il vero fenomeno di nicchia

Raccontare qualcosa in più di altri su Romano De Marco potrebbe non essere così semplice. Porgli domande che non gli siano già state poste, men che meno. Ti sforzi, spremi idee e cancelli e riscrivi cinque volte ogni domanda, perché la versione precedente ti suonava troppo banale. Poi però arriva lui e ti dà le risposte, e ti accorgi che qualsiasi argomento tu possa toccare saprebbe renderlo interessante e accattivante. Come? Dicendo semplicemente la sua, con personalità, e detto così sembra scontato, ma non lo è affatto. Scoprire Romano anche come uomo, l’uomo dietro lo scrittore pur parlando di Letteratura, diventa allora una conseguenza naturale del suo essere artista, spontanea. Lascio a voi scoprirlo, riportando la nostra ‘chiacchierata’.

41tpyhmsf8l-_sy346_Romano, ogni scrittore si pensa debba aver avuto un qualche mentore letterario per poter scrivere come ad altri non è concesso. Questo se parliamo solo di scrivere. Ma nel capire la vita e le vite da raccontare, chi è stato importante per te? Non voglio necessariamente un nome, ma la figura in sé.
Invece ti faccio proprio un nome: Raul Montanari. Più che insegnarmi a scrivere, Raul mi ha insegnato “Lo” scrivere e, cosa ancor più importante, ha rafforzato in me la passione della lettura, indirizzandomi verso scelte fino a quel momento estranee ai miei gusti o, per meglio dire, alle mie abitudini. Raul Montanari è, non a caso, il migliore e più autorevole docente di scrittura creativa in Italia ed è un autore straordinario che riesce a coniugare tematiche letterarie “alte” ad uno stile di scrittura e a una tensione narrativa che rendono le sue opere fruibili da una  platea davvero trasversale di lettori. Non è una cosa da poco, è una sorta di piccolo miracolo che riesce davvero a pochi, oggi, in Italia. E poi Raul è per me un fratello, un amico, una persona insostituibile e preziosa.

download-1Mi sono sempre chiesto: come fa uno scrittore a parlare di strada se non ha mai vestito i panni del delinquente? Perché il luogo comune (e anche un po’ meno comune,  Stephen King docet) è che ognuno “deve scrivere di ciò che sa”. Per le indagini di Polizia ci si può documentare, ma per raccontare la malavita, come si fa?
Potrei menartela con la storia dell’immedesimazione, dello studio psicologico, della ricerca… invece ti rispondo come mi rispose il grande Sergio (in arte Alan D.) Altieri qualche anno fa quando, affascinato dalla sua descrizione di un ordigno esplosivo iper tecnologico in uno dei capitoli della pentalogia di Los Angeles, gli chiesi come aveva fatto a raccontarlo cosi bene. La sua risposta è stata “Romano, che vuoi che ti dica… Ho inventato!” (con buona pace di Stephen King…)

41chervtm-l-_sy346_Il Giallo, il Noir, il Poliziesco e via dicendo. Definizioni a parte, non si può discutere che questo tipo di narrazione oggi rappresenti la nostra cultura e società nel modo più realistico e senza veli, né pietà o ipocrisie. Perché allora è ancora considerato ‘di nicchia’ rispetto ad altra narrativa, dai critici? E se dici che non è vero, me ne vado! (sorrido, ndDario)
Non so se sia vero o no, ma scuramente è stato un tema molto dibattuto fino a pochi anni fa. Grazie ad autori come Grazia Verasani, Massimo Carlotto, Marcello Fois (ma potrei citartene a decine…) oggi il noir è stato sdoganato come una narrativa di contenuti e non (solo) di genere. Persiste, sicuramente, un certo snobismo da parte di alcuni, ma la mia impressione è che sia diventato un fenomeno di nicchia più lo snobismo stesso che la scarsa considerazione del noir. Del resto, ormai, i padri “nobili” del genere come Scerbanenco, De Marchi, Gadda, sono stati più e più volte riconosciuti e gli è stato tributato il più alto e condiviso riconoscimento. E poi, guarda… basta vedere chi occupa i primi posti delle classifiche di vendita per capire che le chiacchiere stanno a zero.

download-2Parliamo allora proprio di case editrici, o editoria in genere, come preferisci. Saprai che alcuni, anche affermati, autori italiani stanno provando, o pensando di provare, appunto la strada del self publishing perché, chiaramente, scontenti e incerti sul valore che una CE tradizionale può rendergli, se non subito almeno a breve.  Parlo di soldi, volgarissimi soldi, oltre alla promozione e via dicendo. Qualcuno si chiede perché prendere il 7/10% di diritti dopo uno o due anni, invece che il 20% da una filiera in pochi mesi, distribuzione completa compresa.
Mentre sono assolutamente contrario alla cosiddetta “editoria a pagamento”, una presa in giro bella e buona che danneggia un intero settore e specula sulla sostanziale ingenuità (per non dire stupidità) della miriade di aspiranti scrittori che sembra aver invaso il mondo civilizzato, sono abbastanza indifferente al self publishing.  Ritengo che sia un tipo di pubblicazione velleitaria e sostanzialmente inutile, se non per poter avere la soddisfazione di dire (e spiattellare sui social…) “ho pubblicato un libro!”. Oggi il vero problema non è tanto pubblicare, quanto essere distribuiti ed avere un adeguato lancio promozionale. Colpa anche del sovraffollamento che c’è in libreria.  Editori di primissima fascia (e facciamo i nomi, Mondadori, Rizzoli, Feltrinelli ecc.) arrivano a pubblicarti ma quasi mai investono una e dico una sola lira in promozione. Idem dicasi per la distribuzione, in molti casi carente e approssimativa. Quindi, se si parte già con l’handicap pubblicando con questi colossi, quale possibilità  reale di essere letti, apprezzati e diffusi si può avere col self publishing? Poi, se lo scopo è quello di aggiungere “scrittore” davanti al nome del profilo facebook e di diventare famoso nel proprio condominio, allora va bene tutto. Inoltre, aggiungo che, dal mio punto di vista, il filtro dell’editore che ti legge, ti apprezza, scommette sul tuo lavoro e ci investe dei soldi (anche solo quelli necessari a stampare il libro) che si premura di fare un lavoro di editing… beh, è un  condizione minima necessaria per garantire la serietà di un prodotto editoriale.

41jjenf4tdl-_bo1204203200_Dicci a cosa punta per il futuro Romano De Marco, come scrittore e come uomo.
Come scrittore (ma mi si addice di più “narratore”) punto ad aumentare il numero dei miei lettori. Per farlo mi sono concesso uno stop di due anni dall’ultimo romanzo (Città di polvere – Feltrinelli maggio 2015) al prossimo,  che sarà una cosa un po’ diversa. Un thriller ambientato negli Stati Uniti con un nuovo editore (sempre di fascia alta). Insomma una ripartenza, un tentativo di attirare maggiore attenzione ma continuando a scrivere come piace a me. Come uomo è più difficile rispondere. La mia aspirazione massima è di essere un buon padre per Lorenzo e Sara (16 e 12 anni) accompagnarli verso le loro aspirazioni e i loro sogni e poi lasciargli vivere la loro vita, restando a disposizione fino a che le forze me lo consentono.

Una promessa ai tuoi lettori?
Il rimborso del prezzo di copertina se i miei romanzi non li soddisfano. E per i fedelissimi della mia serie “Nero a Milano”, la promessa che Marco Tanzi e Luca Betti torneranno presto.

Dario Villasanta

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