Con l’ultimo romanzo di Ian Manook , poliedrico e famoso scrittore francese di origini armene, si ritorna in Mongolia, dove la trilogia di Yeruldelgger ci aveva trasportato facendoci conoscere una terra bellissima suggestiva e misteriosa: dalla immensa capitale Ulan Bator alle steppe abitate dagli antichi popoli nomadi, un insieme di contraddizioni in bilico fra un’antichissima cultura tradizionale e le nuove, irrefrenabili esigenze della modernità.
Una terra selvaggia, tra bivacchi sotto le stelle e cavalcate senza meta, saggi sciamani e inquietanti superstizioni. Un mondo sconosciuto che tuttavia ci sembra familiare, dove l’unico padrone è la natura incontaminata, dove sole e luna guidano i popoli della steppa e le leggende scandiscono la vita nomade.
«I bivacchi sono momenti privilegiati, perché sono l’essenza della nostra vita di nomadi. Attimi sospesi in cui tu diventi un semplice sassolino nell’universo. Una pietra immobile e millenaria. Il tuo corpo, steso sulla schiena, finisce con l’appartenere alla terra che ti sorregge. Sopra di te, la contemplazione vertiginosa del cielo tempestato di stelle ti aspira oltre ogni limite. E senti di far parte di tutto questo. E se scorgi una stella cadente, ti dici che le nostre esistenze sono proprio così. Frammenti di universo che cadono e si consumano. E scompaiono». Così l’autore descrive il senso profondo del legame tra l’uomo e la natura di cui fa parte.
Questo lo scenario nel quale si svolge la storia di Aysuun, una storia a tratti straziante e dolorosa, a tratti crudele ed impietosa ma soprattutto la storia di una vendetta sognata, desiderata e meticolosamente costruita.
La vicenda ha inizio durante la campagna di annessione e rieducazione delle popolazioni mongole, tuvane ed altre tribù nomadi alla Russia sovietica, operazione condotta con violenze, omicidi, stupri contro uomini donne bambini la cui unica colpa era essere appunto mongoli o tuvani.
Anche la yurta di Aysuun viene assalita e le uniche sopravvissute sono la piccola e sua madre.
Gli anni passano ma le ferite no, così quando per caso la ragazza incrocia il militare al comando della squadra che ha distrutto la sua famiglia capisce che è giunto il tanto atteso tempo della vendetta.
La tela di ragno intessuta è sottile ed allo stesso tempo intricata, talvolta non si capisce chi è l’inseguito e chi l’inseguitore in una giostra di situazioni e sentimenti alterni che inchiodano il lettore fino all’ultima pagina.
Lo stile narrativo è denso e scenografico, talvolta sembra di cavalcare veramente attraverso distese immense, durante notti stellate, attraversando fiumi impetuosi.
Ian Manook conosce bene l’arte del raccontare e la dispiega ad arte con le descrizioni di scenari mozzafiato, con il modo di rappresentare i personaggi che percepiamo vivi attorno a noi e usando parole sue “Ho cercato di scrivere con due ritmi differenti. I dialoghi sono formati da frasi più corte e scandite, utilizzo molte frasi senza verbo. Mentre durante le descrizioni uso frasi più lunghe, e rendo il ritmo più lento. Mi fa molto piacere che la trama piaccia ai miei lettori ma spero che anche la mia scrittura piaccia”.
Infatti questo è uno degli autori più amato dai lettori e dalla critica, pluripremiato e tradotto in molte lingue.
Tra i suoi romanzi ricordiamo la trilogia di Yeruldelgger e la trilogia islandese.