Tenebre



Antonella Prenner
Tenebre
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La storia ha detto e scritto molto di Cicerone, le biografie concordano sulla sua straordinaria capacità oratoria, meno sulle sue capacità come uomo politico e ancora meno sulla sua sensibilità come uomo. Fu un genio straordinario o un colto e presuntuoso giocoliere delle argomentazioni e delle parole? Fu un bravo pater familias o uno spudorato cacciatore di dote: entrambi le mogli, sia la prima che la seconda, erano abbienti e rimpinguarono il suo patrimonio? L’unica cosa certa che amò molto la figlia primogenita Tullia, nata dalla sua unione con la prima moglie Terenzia – durata per altro oltre vent’anni prima di chiudersi con un divorzio.  Si narra che il suo cognomen Cicero fosse il soprannome di un suo nonno o bisnonno, che aveva un’escrescenza carnosa sul naso (presumibilmente una verruca), che ricordava nella forma un cece (cicer, ciceris è il termine latino per cece). Quando Marco presentò per la prima volta la sua candidatura a un ufficio pubblico, gli fu sconsigliato l’uso di quel risibile cognomen, ma lui replicò con sicumera che «avrebbe fatto sì che esso diventasse più noto di quello degli Scauri e dei Catuli.» Con Tenebre, Milano Nera si tuffa nel buio del passato, ma soprattutto nell’interpretazione offerta da Antonella Prenner di un grido di dolore e di addio lasciato ai posteri da Marco Tullio Cicerone. Iscritto nella la lista di proscrizione, una condanna a morte dunque  attesa la sua, a Capua, in passiva accettazione. E allora quasi una lunga orazione funebre scritta e declamata per se stesso, che prende il via dai ricordi più vicini e direttamente collegati che risalgono a qualche giorno prima delle Idi di Marzo del 44 a.C.  Prima della data di sangue che dette una svolta al corso dell’antica storia romana, Marco Tullio Cicerone  è l’inconscio testimone di una spaventosa profezia. Mentre dorme infatti Giulio Cesare,  già cadavere straziato dai pugnali dei congiurati, gli appare in sogno e gli rivela il giorno della sua morte. Quel Cesare, che tormenta il suo animo di indefesso repubblicano con la sua sete di potere e quindi che pensare? Che fare? Ansia, tormento ma anche complice abbandono al volere del destino dei fati si mischiano nell’animo di Cicerone. Il verificarsi delle profezia darà a Cicerone la speranza di restituire vera libertà a Roma. Ma il popolo, la “gentes” sarà di altro avviso, la fama di Cesare ha oscurato menti e intelletto. Gli assassini, i congiurati devono fuggire. Antonio avrà buon gioco per farsi strada. La realtà degli accadimenti giorno per giorno diventerà sempre più dura e inevitabile. Sangue chiama altro sangue. La guerra civile che vedrà l’alleanza tra Antonio e Ottaviano, nipote ed erede designato di Cesare, non risparmierà oppositori e rivali. La vigorosa voce narrante di Cicerone, protagonista e vittima sacrificale della storia, parla, narra, si confida e chiede di continuo conferme a Tullia, la diletta figlia, morta trentaquattrenne dopo aver partorito un bambino. A lei e ai lettori Cicerone racconta la fine della sua vita e del sogno della libertà, gli intrighi e i drammi di un tempo irripetibile. Scorrono come intriganti titoli di coda di una pellicola la condanna di Catilina, il triumvirato di Pompeo, Cesare, Crasso. Il pericoloso scontro con Clodio, le divergenze con Cesare, le passionali figure di Bruto, Cassio e la sfuggente comparsa di Cleopatra che si allontana.

Marco Tullio Cicerone (Arpino 106 a.C. – Formia 43 a.C.), oratore, uomo politico e scrittore latino. Nacque in una famiglia di provincia dell’ordine equestre e fu avviato agli studi di retorica, diritto e filosofia, prima a Roma e più tardi ad Atene, a Rodi e a Smirne. Rientrato in patria nel 77 a.C., intraprese la carriera politica: divenne questore nel 75 a.C., senatore nel 74, edile curule nel 69, pretore nel 66 e console nel 63. A quest’ultima carica Cicerone arrivò grazie al sostegno dei patrizi che diffidavano dell’altro aspirante, l’aristocratico Lucio Sergio Catilina. Questi, sconfitto anche l’anno dopo (62 a.C.), organizzò una vasta congiura, trovando appoggio soprattutto presso gli aristocratici decaduti, i veterani di Silla e i proprietari terrieri cui erano stati confiscati i beni. Cicerone, che riuscì a produrre in senato le prove della congiura, fece arrestare e giustiziare alcuni cospiratori, tutti uomini di spicco a Roma. Ma proprio per quel suo giudizio, l’aver agito senza garantire agli accusati una giusta difesa fu condannato e mandato in esilio in Macedonia (58 a.C.). Da dove riuscì a tornare l’anno dopo per l’intercessione di Pompeo. Costretto a restare lontano dalla vita politica dal triumvirato di Pompeo, Cesare e Crasso, Cicerone si dedicò alla letteratura fino al 51 a.C., quando accettò la carica di proconsole in Cilicia (Asia Minore). Di nuovo a Roma nel 50, affiancò Pompeo, diventato nel frattempo nemico di Cesare. La sconfitta dei sostenitori di Pompeo a Farsalo (48 a.C.) lo convinse a venire a patti con Cesare, che gli perdonò la passata ostilità. Per qualche anno, fino all’uccisione di Cesare (Idi di Marzo 44 a.C.), Cicerone rimase assente dalla scena politica, dedicandosi agli studi filosofici e alla letteratura. Forse sapeva e comunque non condannò i congiurati. Nel successivo conflitto di poteri tra il figlio adottivo di Cesare, Caio Ottaviano (che sarebbe stato insignito del titolo di Augusto) e Marco Antonio, Cicerone si schierò dalla parte del primo, ma la temporanea riconciliazione dei due nemici e la costituzione del triumvirato con Lepido segnò la sua fine. Ottaviano non si oppose alla decisione di Antonio di inserirlo nelle liste di proscrizione. Raggiunto nella sua villa di Formia dagli uomini di Antonio Cicerone fu giustiziato come nemico dello stato (43 a.C.).

Patrizia Debicke

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