Michele Navarra, in libreria con Solo Dio è innocente, Fazi Editore, ha cortesemente accettato di rispondere a qualche nostra domanda
Alessandro Gordiani è un avvocato filosofo: si fa molti scrupoli prima di accettare la difesa di Mario Serra, vuole la certezza di mettere il proprio talento al servizio di un innocente e non di un colpevole. Si interroga sul diritto e la giustizia, due concetti che possono non coincidere. Questi scrupoli fanno di lui un uomo e/o un avvocato migliore?
Non penso che queste caratteristiche facciano di lui un uomo o un avvocato migliore, piuttosto penso che contribuiscano a fornire di Alessandro Gordiani l’immagine di una persona con determinate convinzioni. Hai detto bene: per Gordiani applicare in modo corretto la legge non necessariamente significa fare giustizia, anzi alle volte paradossalmente potrebbe ottenersi il risultato opposto. Gli scrupoli di Gordiani peraltro non sono dovuti tanto (o soltanto) a motivazioni di carattere etico, quanto invece a considerazioni di tipo pratico: se non sono convinto io per primo di una determinata tesi, come a faccio a convincere qualcun altro (nella specie un giudice)?
Alessandro Gordiani aspira a patrocinare in processi in cui si giunga a far collimare quanto più possibile la verità processuale e quella storico-fattuale. Non ha certo una visione impiegatizia del suo lavoro. Chi è veramente “indifendibile” per Gordiani? Qual è il limite oltre il quale non intende mettere in discussione i propri valori etici? E questo limite riguarda il “reo” o “il reato”?
Credo si tratti di un’aspirazione comune a molte persone. Chiunque vorrebbe che una sentenza contenesse la ricostruzione esatta, quanto a dati fattuali e a motivazioni psicologiche, di un determinato episodio criminoso. Di certo, questa aspirazione è per Alessandro Gordiani – che, non lo dimentichiamo, è un personaggio che si muove tra le pagine di un libro – molto più forte, più evidenziata. Per lui gli “indifendibli” esistono, non certo in linea di principio, perché in un ordinamento giudiziario civile a chiunque deve essere garantito il diritto di difesa, quanto a livello pratico, perché, come ti dicevo in risposta alla domanda precedente, Gordiani sa che in certi casi, per colpa dei suoi limiti caratteriali e dei suoi valori etici, la sua difesa potrebbe risultare inefficace e in questo caso è meglio, molto meglio, farsi da parte.
Alessandro Gordiani non vuole fare l’eroe, è profondamente umana la sua reazione di paura quando, contattato dai parenti di Mario Serra – presunto colpevole dell’omicidio di un ragazzino – ha l’inquietante sensazione di essere minacciato, obbligato con la prepotenza ad accettare il mandato difensivo. Cosa lo induce ad accettare? Le velate minacce del clan Serra o la curiosità intellettuale di risolvere un caso che a prima vista sembra già avviato a una soluzione di comodo?
Gordiani è una persona come tutti noi, un uomo con una famiglia, che prova gli stessi timori che proverebbe chiunque di fronte ad una situazione simile, tuttavia il suo senso di responsabilità è altissimo, così come altissima è la sua considerazione della “funzione” difensiva, che guida in ogni circostanza le sue scelte. Gordiani non ha paura a livello fisico, quanto a livello etico, passami questa espressione. Vuole essere sicuro di combattere una battaglia che sia in qualche modo “giusta” (pur con tutti i limiti che questo aggettivo può avere in questo caso), non si perdonerebbe mai di non aver risposto alla richiesta di aiuto di un uomo potenzialmente innocente. Poi certo, l’incarico che gli viene conferito è di quelli che farebbero tremare i polsi e le gambe di chiunque.
Per Alessandro Gordiani l’indagine è una sfida con se stesso, con il cliente reticente o con il magistrato inquirente?
Gran bella domanda. Direi che le tre cose costituiscono le sfaccettature di un’unica realtà. Gordiani principalmente vuole capire. È ovvio però che deve portare a casa un risultato, quindi deve confrontarsi con più persone e a diversi livelli ed è proprio in questo che risiede la maggiore difficoltà di preparare una difesa penale in un caso come quello che racconto nel romanzo.
Il rapporto di Gordiani con il P.M. Sangiorgi è ambiguo: un misto di rispetto e sana contrapposizione fra i soggetti del processo. Perché Gordiani definisce Sangiorgi “un vero eroe”?
Il suo rapporto con il pubblico ministero è improntato a quello che avviene – o meglio, che dovrebbe avvenire – nella realtà. Rispetto e obiettivo comune di avvicinarsi il più possibile alla “verità”. Sangiorgi, per Gordiani, è un “eroe” nella misura in cui lo sono tutti i pubblici ministeri, laddove devono prendere una decisione sulla colpevolezza di un uomo (cosa, ti posso assicurare, che non è mai facile, semmai l’opposto) e portarla avanti fino alle estreme conseguenze, fino in ipotesi alla richiesta dell’ergastolo. E in tantissimi casi, chiedere il “fine pena: mai” è un atto di eroismo puro.
Il team che circonda Gordiani è affiatato, sembra più un gruppo di amici di vecchia data che di colleghi di studio. Quanta importanza riveste per Gordiani l’aspetto umano nella sua professione? Quanto è realistica o corrispondente alla Sua esperienza di avvocato questa immagine di studio legale?
In effetti, si tratta proprio di un gruppo di amici di vecchia data. L’aspetto umano gioca un ruolo fondamentale nella vita professionale di Alessandro Gordiani. Odia le situazioni “ingessate”, gli inutili formalismi. Quanto poi alla corrispondenza di un’impostazione di questo tipo con la realtà professionale di un avvocato, posso dirti che in Italia ci sono circa 250.000 avvocati, quindi è facile trovare situazioni di ogni genere. Ci sono studi legali organizzati come aziende, altri come Ministeri statali, altri come seriose associazioni professionali e altri come… gruppo di amici e colleghi. Io, potendo scegliere, volevo che Alessandro Gordiani si muovesse in una realtà di quest’ultimo tipo.
Veniamo a un ulteriore punto di forza del romanzo, oltre all’umanità del protagonista e alla verosimiglianza delle situazioni raccontate: l’ambientazione nel Nuorese, sia in senso geografico che culturale. Che tipo di ricerche ha condotto per conoscere a fondo il codice barbaricino e il sostrato culturale in cui ha preso piede?
Per quanto riguarda l’aspetto “geografico”, mia suocera è di Fonni (dove conserva ancora la vecchia casa dei genitori), senza contare che, oltre che dalla mia famiglia, sono stato cresciuto da una straordinaria donna sarda, che vado a trovare ogni anno da trent’anni a questa parte. Questo mi ha consentito di visitare tante volte i luoghi che descrivo nel romanzo e anche di conoscere un po’ meglio determinati aspetti psicologici delle persone, senza naturalmente avere alcuna pretesa di aver capito tutto. Per quanto la ami e la conosca abbastanza bene, non sarò mai in grado di descrivere la Sardegna come potrebbe fare un autore sardo, tuttavia ho provato a farlo, con rispetto e un pizzico di pudore. Per quanto riguarda il codice barbaricino – che è molto più complesso e articolato di quello che si potrebbe immaginare – le fonti sono quelle classiche, a partire dalla poderosa opera di Antonio Pigliaru, per arrivare ai recenti dibattiti sul tema tra gli intellettuali sardi. In un romanzo, ovviamente, è stato necessario procedere a molte semplificazioni, sempre nella speranza di non incorrere in stereotipi scontati.
Nuoro e Fonni sono i due luoghi principali dell’azione, mentre Roma sta sullo sfondo con la sua “grande bellezza”. La geografia dei luoghi ha ispirato o influenzato la storia in qualche modo?
Credo entrambe le cose. Si tratta di posti che sprigionano, sia pure per differenti motivi, un fascino potente, quasi irresistibile. Non esserne ispirati o influenzati era praticamente impossibile. Anche in questo caso, peraltro, hai colto l’essenza delle ambientazioni del romanzo: la parte “dinamica” si svolge quasi interamente in Sardegna, quella “statica” a Roma, che resta – come hai ben detto – sullo sfondo, pronta a raccogliere il finale della storia.
“Solo Dio è innocente” è una lunga riflessione sulla distanza che intercorre tra la giustizia di Dio e quella amministrata dagli uomini e in nome degli uomini: Gordiani ha compreso sulla propria pelle che non sempre la pedissequa applicazione della legge porta al trionfo della verità. Perché non se ne fa una ragione? E’ un illuso, un visionario? Un eroe del quotidiano?
“La legge è solo l’ombra della giustizia: come si trattasse dell’ombra di una statua, l’essere umano non potrà mai riuscire a vedere la vera forma di quest’ultima; potrà riuscire al massimo a scorgerne l’ombra, i lineamenti generali, e, sulla base di quei dati incompleti, potrà cercare di ricrearne le forme. Quel disegno imperfetto è appunto la legge, che rimarrà però sempre e soltanto un’immagine ricavata da un’ombra. Quindi, applicare la legge, anche se in modo corretto, non potrà mai significare fare veramente giustizia e alla fine il risultato rimarrà sempre insoddisfacente”. Questa è la profonda convinzione di Alessandro Gordiani, che non è un illuso o un visionario, ma solo un uomo che – come tanti di noi, che spesso siamo davvero “eroi del quotidiano” – vorrebbe disperatamente muoversi in un mondo “giusto” o almeno più giusto di quello in cui siamo costretti a vivere. Ma che – anche in questo caso come tantissimi di noi – sa bene che questa sua aspirazione non diventerà mai realtà.
Alessandro Gordiani, in definitiva, è un uomo di fede?
Senz’altro sì, se per “fede” intendi fiducia nelle proprie convinzioni e rispetto di un patto o di una promessa.
L’amore è davvero “l’unico antidoto contro l’ottusa malvagità dell’uomo”?
Credo proprio di sì…
MilanoNera ringrazia Michele Navarra per la disponiblità e la Fazi Editore per la collaborazione.
Qui la nostra recensione a Solo Dio è innocente