Parla mia Paura – Simona Vinci ospite al Noir In Festival – Como 9 dicembre



Simona Vinci
Parla mia Paura
Einaudi
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Tu sei la forma del buco

Dentro il mio cuore”.

Quante forme può avere la paura? In quante gradazioni si può manifestare quel lato oscuro della vita di milioni di persone che la società occidentale nasconde dentro un blister di pastiglie? Come si può venire a patti e convivere con una patologia per cui non sembra esistere cura definitiva? La nuova opera di Simona Vinci si propone di chiarire questo genere di interrogativi utilizzando come arma una sincerità tanto spietata da non lasciare scampo al lettore.
“Parla, mia paura” è innanzitutto un libro sincero. Una sorta di autobiografia, a volte romanzo e altre trattato, che discendendo in profondità esplora gli episodi meno confessabili della vita di chi soffre di un problema psicologico. Sono storie senza lieto fine, il fine pena mai rappresentato dalla camicia di forza chimica delle benzodiazepine, che una volta iniziate non si lasciano più. Sono le crisi di panico che iniziano per una ragione comprensibile – gli spazi chiusi, la folla, i luoghi non conosciuti – e finiscono per manifestarsi nel caldo del proprio letto o davanti al viso delle persone più care. È la condanna alla paura della paura: il terrore di venire assaliti da un momento all’altro da una crisi, la sensazione impossibile da schivare di avere la morte di fronte.
Quando sembra non esserci speranza, tuttavia, la mano amica di un estraneo può lasciar intravedere una soluzione: liberarsi dalla paura abbandonandosi a essa. Affrancarsi dalla vergogna chiedendo aiuto, confidando nell’umanità che si può incontrare perfino dentro un autobus popolato da sconosciuti.
Le pagine dell’autrice emiliana sono la cronaca soffocante del disagio psicologico e psichiatrico patito nel segreto dei pensieri da un numero smisurato di uomini e donne: il progetto di un suicidio, la descrizione totalmente priva di ipocrisie dei momenti più bui della maternità, quando si arriva a pensare di poter fare del male al proprio figlio, alla nuova creatura che s’impadronisce di ogni spazio libero nella vita di una donna. Fortunatamente «la madre buona dice, la madre cattiva fa», ed è questa la fondamentale differenza che un buon psicoterapeuta sa riscontrare e rendere evidente agli occhi della propria paziente, riconsegnadola a una sofferente serenità.
Il libro della Vinci non è però soltanto un grido di dolore. Nelle sue parole eleganti si intravede costante una flebile luce che tenta di liberarsi con forza. Lo fa nel sollievo che l’alter ego dell’autrice prova ascoltando i rumori incessanti che la natura produce tra gli alberi di un giardino: l’acqua che scorre, gli animali che si muovono, il vento che scuote le foglie. Una testimonianza di equilibrio vitale che allontana dal baratro dei pensieri neri della depressione.
Il messaggio centrale che l’opera sembra voler lanciare alla società assume la forma di una richiesta di comprensione, la necessità capitale di persone che sappiano solamente ascoltare, senza giudicare, di uomini e donne capaci di fare un passo indietro, di non dare consigli, solo e semplicemente di accogliere parole e confessioni. Perché all’incertezza del vivere non esiste soluzione, e questo vale per chiunque, in qualsiasi condizione, sia essa sociale, economica oppure clinica. E così, come la Vinci afferma in una delle frasi più belle di questo lavoro, «l’unico potere che abbiamo è tentare di vivere al meglio il presente senza farci annientare dal terrore del futuro».

Cinema: il logo del Courmayeur Noir in Festival
Noir in Festival

9/12/2017 h 18:30
PARLA, MIA PAURA di Simona Vinci
Sala Bianca
presenta Sebastiano Triulzi

Thomas Melis

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