Nel 1968 un nostro autore si aggiudica il Gran prix de littérature policière. Ad oggi, è l’unico italiano ad aver vinto il prestigioso riconoscimento per la letteratura gialla.
Il suo nome è Giorgio Scerbanenco, sua la raccolta di racconti I centodelitti, ristampata, a quarant’anni dalla prima uscita, da Garzanti.
Di Scerbanenco si è detto tutto ed il contrario di tutto. Derubricato dalla bella critica a fenomeno nazional popolare. Snobbato dalla Milano bene, che non riconosceva nelle sue pagine la propria città. Infine, come spesso accade, nobilitato prima all’estero, poi da una generazione di bravi scrittori italiani, che ne hanno riconosciuto l’influenza.
E’ importante, questa ristampa, per vari motivi. Il primo è la possibilità, per i nuovi lettori, di accostarsi ad un maestro nei generi giallo e noir. E di farlo attraverso una raccolta di racconti .
Scerbanenco eccelle nella tecnica narrativa del racconto breve.
La sua abilità nel tratteggiare tipi psicologici e ambientazioni. Il suo senso del ritmo. L’irrompere improvviso della tragedia che accomuna, nello stesso beffardo destino, puttane e ladruncoli, assassini e gente qualunque.
Tutto questo Scerbanenco ce lo restituisce nella scrittura. Si tratta, in estrema sintesi, della banalità del male. Il male che s’insinua o deflagra all’interno del quotidiano. Nessuno, come Scerbanenco, è stato capace di restituirci quel senso di oscura grandezza.
Con un linguaggio, allo stesso tempo, visivo e senza fronzoli, quasi da sceneggiatore. Non a caso grandi registi, dimenticati in Italia, e studiati all’estero, ci hanno restituito quelle atmosfere nei film tratti dai suoi romanzi.
Tuttavia è nei racconti che spesso Scerbanenco dà il meglio di sé. Racconti scritti dopo cena, da consegnare alla rivista per tempo.
I colleghi che li leggevano per primi gli dicevano: “Ma tu sei pazzo. Sprecare queste idee per la pagina di un settimanale. Qui ci puoi tirare fuori dei romanzi”. E lui che rispondeva: “ Non ci posso fare niente, per uno che ne scrivo, ce ne sono dieci che lottano per uscire”.
Scerbanenco era così. Prolifico, inesauribile, posseduto da un’urgenza dello scrivere che ci fa pensare avvertisse in sé il presagio di un destino simile a quello dei suoi personaggi. Come tanti autori di noir, aveva frequentato la palestra della nera. Ma la sua sensibilità gli aveva fornito gli strumenti per uscire dagli schemi della cronaca, e scrivere storie. Storie dove i personaggi non sono mai macchiette, ma uomini e donne che l’autore ci consegna nelle loro bassezze e meschinità che le rendono così umane.
Vite riassunte in una pagina, e cancellate da un unico, irreversibile, gesto.