Cicatrici è il romanzo che un autore prolifico come Gianluca Morozzi lascia come traccia del suo passaggio, passaggio attraverso la gabbia del genere, un ingresso forte e subito la fuga, perché dentro la cornice il quadro prevede colori non convenzionali. Grazie a Nemo Quegg, un signor nessuno, un perdente sbattuto sin dalla sua entrata in scena ai margini, la scrittura di Morozzi abbandona l’abituale ironia – si pensi al precedente Colui che gli dei vogliono distruggere, sempre per Guanda – e si fa scudo con il cinismo.
Cicatrici è un viaggio fatto di poco o niente, una storia che parte lenta e cresce quasi a voler emulare le dimensioni ingombranti del suo protagonista improbabile, un tipografo che si sveglia di notte e dorme per il resto della sua vita, una routine di tremendi fallimenti. Poi il colpo di scena, una femme a malapena fatale, un turbine di avvenimenti: sangue, sesso, disperazione, centrifugati prima dello scatto in avanti, uno scatto che mira al fantastico citando date di canzoni dei Beatles, presagi e ipotesi metempsicotiche in cui si incastrano i destini delle pedine schierate in campo.
Cicatrici è allora un romanzo di turbamento, un cammino, una transizione: i destini incrociati di marginali alla deriva. Tutto scorre e tutto torna, il finale svela un universo parallelo, e in questo torna a schierarsi la follia fumettistica tipica di «Morozzi autore», poco avvezzo ai vincoli del reale ma fantasioso come pochi.