Giungerà il giorno del giudizio e avrà gli occhi di Edmondo Berselli. Editorialista di “Repubblica” ed “Espresso”, è uno degli uomini dell’intellighentia italiana, o meglio “uno della cricca” come si definisce lui stesso. Viene annoverato tra coloro che stabiliscono nel nostro Paese ciò che è bello e lodevole e ciò che non lo è. Il suo nuovo libro sta tutto nel titolo: “Venerati Maestri – Operetta immorale sugli intelligenti d’Italia”, dove in luogo di “immorale” si legga “ironica”. Nelle intenzioni dell’autore infatti vuole essere dissacrante, politicamente scorretto e arrabbiato: tutti e tre atteggiamenti che vanno per la maggiore in quest’ultimo periodo. Sarà un segno dei tempi ma “non ci sia più rispetto per niente e nessuno” è regola aurea a cui si attiene anche Berselli.
E’ critico stanco dei critici, lettore deluso dai romanzieri (e dai lettori, per non far torto a nessuno), intellettuale arrabbiato con gli intellettuali, a cui non riconosce più alcune funzione di crescita. Attacca il “conformismo diffuso, ovvio dei popoli, velluto di ipocrisia collettiva che diventa canone estetico” e conduce il proprio attacco al presunto cuore del sistema, cioè ai “Maestri” riconosciuti del nostro Tempo. Non risparmia nessuno da Fo a Benigni, per citare i più popolari, ma anche intoccabili e già toccati fulcri della cultura italiana come Pasolini, Magris e case editrici indiscusse come Einaudi e Adelphi. La strategia bellicosa è semplice: mette alla berlina se stesso in primis, per porre al centro dell’attenzione situazioni e persone che sono simboli e non reali (di ciò siamo avvertiti dall’autore solo nell’ultimo capitolo). Sono “donne dello schermo” per indicare un malessere di Berselli, ma che appartiene alla cultura italiana.
Partendo dall’idea che colui che critica non appartiene alla medesima fascia sociale di chi consuma il prodotto culturale criticato, il libro non vuole alzare un polverone, anche perché in quel caso potrebbe venire risucchiato l’autore stesso. Per evitare ciò, l’ironia tagliente e forbita è arma privilegiata, che talvolta si trasforma in invettiva allusiva e competente. Ottimamente scritto, il libro ripercorre la formazione culturale di Berselli e di gran parte degli intellettuali di sinistra a partire dagli anni Sessanta. L’autoironia compiacente lo salva dal tono memorialistico e nostalgico, le citazioni virgiliane più o meno occulte tengono il distacco sufficiente dall’argomento trattato.
Prende sul serio il paradigma di Arbasino per il quale in Italia la maggioranza delle “belle promesse” vivono il momento tragico del passaggio a “soliti stronzi”. Solo alcuni si salvano e diventano appunto “venerati maestri”. Applica dunque tale regola al panorama culturale italiano disegnando uno scenario sconfortante. Non è il solo debito esplicito ad Arbasino, di cui echeggia il tono di “Fratelli d’Italia”, anche se la ricerca linguistica di Berselli rimane a livello di editoriale da prima pagina. La sensazione diffusa comunque è di assistere ad uno sfogo controllato: “ Ehi amici, vi piglio per i fondelli, ma rimango comunque uno di voi”.
Non tralascia ovviamente la politica e soprattutto i commentatori di parte avversa. Se con la sinistra assume un atteggiamento di rimprovero a tratti bonario, di altro tenore è la querelle con i presunti neoliberisti di cui il massimo rappresentante è indicato in Giuliano Ferrara. Personaggio guardato e letto “sempre con il sospetto che si potrebbe sostenere l’esatto contrario”. A questo punto si lascia scappare una riflessione più intima: “non ci sono più maestri, solo i soliti stronzi”.
L’organo principale del caravanserraglio descritto è certamente Dagospia e Berselli lo cita a proposito. Ne nasce il sospetto che il libro sia scritto proprio per i medesimi personaggi che vengono presi in considerazione come oggetto di riflessione. Crea cioè un corto circuito autoreferenziale in cui il centro tematico non sia tanto lo sfogo, ma piuttosto la dimostrazione di forza intellettuale da parte dell’autore stesso.