Non delude Sangue bianco, l’esordio italiano di Craig Robertson, autore scozzese, noto nel panorama internazionale per la forza dei suoi thriller.
Una storia piena di suspense, in cui nulla è come sembra, che terrà il lettore col fiato sospeso, fino alla fine. Rispettando le migliori tradizioni, saremo condotti ad un finale a sorpresa, attraverso un tunnel di personaggi, caratterizzati sempre un po’ alla volta, sullo sfondo di un’isola dei mari del Nord, dove la natura e il tempo la fanno da padroni. L’autore sfiora anche tematiche ambientaliste e naturaliste, lasciando al lettore tutto lo spazio per poter riflettere. I ritmi sono lenti ed angoscianti, come la notte e il buio, rischiarati dal biondo di una buona birra al pub a fine giornata.
John Callum si trova tramortito sui lastroni di ardesia del porto di Tórshavn, mette la mano in tasca e si ferisce con un coltello insanguinato, un grindaknivur, un coltellino tozzo che si usa per la caccia alla balena: tutti gli uomini adulti ne hanno uno alle Far Øer. Il coltellino pesava una tonnellata con il suo carico di dubbi, John aveva la testa pesantissima, non riusciva a ricordare nulla della sera prima e il vento sferzava raffiche fortissime.
John era arrivato col vento di Giugno alle Isole Far Øer, settecento km a nord di Glasgow, l’arcipelago all’estremo confine nordico danese, una terra battuta incessantemente dal vento e sprofondata nel freddo e nel buio per buona parte dell’anno. Il professore di Glasgow era finito in mezzo al nulla, ma non importava, purchè fosse lontano da dove veniva.
Alle Far Øer piove trecento giorni l’anno gli disse Oli, il barista del Cafè Natur, mentre spillava una pinta di Gull per il nuovo arrivato.
In breve John, grazie a Oli, trova anche un lavoro onesto, ma molto duro nell’allevamento di salmoni selvaggi di Martin Hojgaard, che dopo averlo studiato un po’ ed essersi accertato che fosse un credente, lo ospita addirittura a casa sua, prima e nel suo capanno dopo, quando John ebbe un incubo talmente rumoroso da svegliare la moglie e la figlia piccola di Martin.
I faroesi erano un popolo che amava i colori, si erano dimostrati molto ospitali con John, ma giorno dopo giorno lui capisce che sull’isola ogni abitante sa tutto degli altri, forse troppo.
Man mano che la sera avanzava, per concludere una giornata di duro lavoro, ci si riuniva in uno dei pub locali, dove Karis Lisberg, un bel viso sorridente e un ciuffo di capelli scuri, abborda John che se ne stava da solo, all’ombra, con la sua birra. Karis era una Audrey Hepburn faroese, faceva l’artista, aveva studiato a Copenaghen ed era la figlia di un pastore; aveva solo un piccolo neo, di lei si era invaghito una testa calda, Aron Dam, un trentenne un po’ rozzo, un Neanderthal pazzo di gelosia…
Sangue bianco
Valeria Arancio