Un gruppo di ricercatori e ricercatrici isolati in un Osservatorio astronomico. Anni di sfrenata competizione e di un sistema che ha alimentato risentimenti, corse al successo e insicurezze. Questi ingredienti non possono che far salire oltre misura il livello di tensioni all’interno della struttura.
Sono questi gli elementi principali che ci propone “La luce delle stelle”, edito da Marsilio, primo giallo – puro – di Licia Troisi. Questo nome non vi suonerà nuovo, si tratta di una delle principali firme del mondo fantasy in Italia. L’autrice è nota per le sue tre trilogie del Mondo Emerso, oltre che per i Cicli de La ragazza drago, I regni di Nishira, Pandora e La saga del dominio.
Con questo romanzo è tornata un po’ a casa. Se la Troisi infatti è diventata una voce del mondo letterario del nostro Paese, sia come autrice che come una conduttrice radio e tv, va detto che è un’astrofisica e si è laureata con una tesi sulle galassie nane. Nell’elenco delle sue pubblicazioni si trovano diversi libri di divulgazione scientifica: Astrofisica per ansiosi e La sfrontata bellezza del cosmo (entrambi editi da Rizzoli), per citarne un paio.
Lei è un’autrice fantasy molto apprezzata, oltre che di testi di divulgazione scientifica. Questa è la prima volta però che si confronta con il giallo. Quali differenze ci sono per lei nella scrittura di testi così diversi e nella fase creativa di questo romanzo rispetto ai suoi lavori precedenti? Ha affrontato delle sfide nell’avvicinarsi a questo genere?
Non ho visto grandissime differenze; credo che per scrivere di genere si usi in linea di massima una cassetta degli attrezzi comune. Probabilmente, comunque, non ho notato così tante differenze perché spesso nei miei libri fantasy erano già presenti degli elementi gialli, se non in alcuni casi indagini vere e proprie. La sfida principale è stata quella di intessere una trama che fosse appassionante per il lettore, ma contemporaneamente abbastanza lineare: essendo la mia prima prova col giallo puro, volevo comunque complicarmi la vita il meno possibile.
Quali sono le sue ispirazioni quando si tratta di racconti noir?
Sono una grande appassionata di Camilleri, soprattutto della sua produzione su Montalbano, mentre Sherlock Holmes, che apprezzo molto, è una scoperta relativamente recente, che ho fatto una decina di anni fa. Per i noir, mi piace moltissimo Sandrone Dazieri, che è anche mio maestro e mentore. Infine, chiamarlo giallo è davvero riduttivo, ma Il Nome della Rosa per me rappresenta un modello da sempre, in tutto ciò che scrivo.
Il suo La luce delle stelle la storia è una storia di frustrazione, di come la mancanza di speranza possa portare una persona a compiere azioni deplorevoli. Se dovesse immaginarsi nei panni dell’antagonista del suo romanzo crede che si comporterebbe in modo diverso?
Il colpevole ha alcune mie caratteristiche portate all’eccesso, come del resto è vero un po’ per tutti i personaggi. Io però sono una persona che in condizioni simili a quelle del colpevole tende a fare del male a se stessa, piuttosto, quindi non credo sarei in grado di far nuocere a qualcuno, in nessun modo.
Nell’osservatorio in cui si svolge la sua storia ricostruisce in modo enfatico il sistema di ricerca. Un sistema che invece di spingere i giovani a credere, a sognare di superare i limiti conosciuti li pone in una competizione insana e tutt’altro che basata sul merito. qual è il confine tra realtà e immaginazione?
È piuttosto labile, in questo caso. Ho sicuramente spinto sul pedale del grottesco, e ho accentuato certe situazioni, ma mi interessava descrivere la realtà della ricerca oggi, soprattutto per le persone giovani. Al netto di alcune licenze narrative, questi sono i metodi di selezione dei giovani ricercatori, nonché le condizioni nelle quali lavorano.
Lei ha scelto di creare un “detective” che è un modello di uomo differente da quello dell’investigatore dei grandi classici. Arriva a risolvere le vicende quasi per caso, è goffo ed insicuro, e lei né mostra le debolezze e le sfumature intime. Non è la prima figura di questo tipo, è una mutazione avvenuta in diversi generi. è un po’ come se la letteratura si fosse sostituita a quel vuoto di educazione affettiva di cui si parla molto spesso e mostri altri caratteri che possano ispirare i giovani?
Di sicuro il modello dell’eroe si è molto evoluto nel tempo, e quello tutto d’un pezzo che tira dritto senza esitazioni di sicuro non è più proponibile. Viviamo in un contesto pieno d’incertezza, noi stessi siamo pieni di insicurezze perché ci troviamo in un momento di profonda evoluzione della società. Credo sia per questo che si propongono così tanti eroi fallibili, nelle cui debolezze e fragilità è più facile riconoscersi.
MilanoNera ringrazia Licia Troisi e Marsilio per la disponibilità