Il solo sottotitolo di “Mio fratello”, vale a dire “Tutta una vita con Peppino”, spiega meglio di qualsiasi recensione il senso e la missione del romanzo verità di Giovanni Impastato. È infatti la vita di (e con) Peppino l’ingrediente principale che il lettore ritroverà all’interno di questa pubblicazione dedicata al compianto Giuseppe Impastato, eroe novecentesco, incorruttibile e inflessibile che sacrificò consapevolmente la propria giovane esistenza alla lotta contro Cosa nostra.
Ma chi era il tragico Prometeo venuto alla luce nell’immediato Dopoguerra a Cinisi, borgo ad alta densità mafiosa situato lungo le coste rocciose della Sicilia occidentale?
Membro di una famiglia di rispetto, una di quelle per cui si libera un tavolo al ristorante anche se è pieno, e davanti a un suo componente ci si toglie il cappello per strada, Peppino era una persona speciale: uno che si faceva delle domande.
Domande su tantissimi argomenti ma, in particolar modo, sulle dinamiche interne al paese dove risiedeva, che rendevano così diversa la famiglia Impastato (e quelle collegate) dalle altre, dalle famiglie normali. Il concetto di onore pare essere la prima molla a generare dubbi stringenti nella mente di Peppino: che cosa è l’onore? Cosa significa essere un uomo d’onore?
La ricerca di un responso soddisfacente e credibile a quel dilemma è raccontata con una forza vivida, da Giovanni Impastato, nei capitoli di “Mio fratello” che riportano le risposte imbarazzate dei professori e dei familiari ai quesiti del giovane Peppino, il contrasto tra il contenuto di quelle repliche e le drammatiche pagine di quotidiano che invece dipingevano scenari di sangue e morte, davano notizia degli agguati a colpi di lupara e delle autobombe con cui i cosiddetti uomini d’onore combattevano la Prima guerra di mafia.
Gli anni trascorrono turbolenti e la violenza malavitosa si fa sempre più vicina alla stessa casa di Peppino e Giovanni Impastato. Nei capitoli di “Mio fratello” compaiono famigerati personaggi che hanno insanguinato la storia siciliana e nazionale, boss di Cosa nostra che si rivelano nottetempo nelle proprietà della famiglia Impastato per un chiarimento o una latitanza.
Peppino diventa grande e lo scontro con il padre, uomo d’onore di bassa schiatta ma importanti affiliazioni, si fa più velenoso ogni giorno che passa. È come se Peppino si avvitasse in una spirale autodistruttiva, un vero sacrificio umano, che gli impedisce di vivere qualsiasi momento normale e felice rispetto alla sua giovane età. Né una relazione, né un lavoro, né la serenità in famiglia. Pochi gli amici, legati al partito di sinistra extraparlamentare nel quale militava e alla radio da dove denunciava il lato oscuro della Sicilia. Qualsiasi dimensione personale donata in olocausto alla lotta alla mafia.
È forse questo l’elemento più toccante che Giuseppe Impastato è riuscito a far emergere con una forza distinguibile dalle pagine di “Mio fratello”: il puro e quintessenziale eroismo di Peppino. È il coraggio, la forza incrollabile, la cieca fede nella missione che quel giovane uomo aveva deciso d’intraprendere, fino al martirio ultimo, per salvare la sua terra e la sua gente, per dare un esempio che contribuisse a estirpare un male di fronte al quale in troppi giravano (e girano) il volto, in cerca di un modus vivendi quando non di un tornaconto.