Inizialmente ero in dubbio se riprendere subito i vostri commenti, relativi al precedente appuntamento de “Lo spazio nero”, per continuare ad analizzare “La biblioteca di Babele” di Jorge Luis Borges. Poi, ho capito – o meglio: credo di aver capito – che forse è meglio perdere, cioè guadagnare, ancora un po’ di tempo per precisare maggiormente il significato di “concetto”.
Lo faccio con un esempio narrandovi questo semplice episodio. Nel 1986 ero uno degli ospiti del Collegio Antonianum di Padova. All’epoca, l’otium era ancora parte integrante della mia giornata e così, in un pomeriggio autunnale, io e un caro amico ci trovammo a parlare affacciati al balcone di una finestra che dava su un giardino interno.
Il mio amico, del quale non farò il nome, preso da un irresistibile impulso poetico cominciò a dire: “Vedi Fabio, ormai tutte le foglie sono cadute dagli alberi. Eppure, su quella piccola pianta laggiù” me la indicò “ce n’è ancora un gruppo, incastrato fra quei due rami, che lotta tenacemente per non finire a terra. È come delle piccole foglie ci esortassero a combattere contro le avversità del destino.” Finita l’ispirazione mi guardò con gli occhi che risplendevano e attese che anch’io mi esprimessi al riguardo. Io, con tono lievemente canzonatorio, non mi girai neanche verso di lui e pronunciai semplicemente due parole: “Dicesi nido…”.
Da quella volta mi sono chiesto spesso se sia meglio vivere all’interno di un’illusione o essere costretti a guardare in faccia la realtà delle cose. E questo vale, soprattutto, per la letteratura.
E lo aveva capito, a proprie spese, anche quel genio – a mio personale parere – di Isaac Asimov, conosciuto principalmente per i tanti romanzi di fantascienza ma, in realtà, autore poliedrico e versatile. Il giorno in cui morì, il 6 aprile del 1992 a soli 72 anni, cominciò da parte mia una riflessione su quello che le sue opere – non solo di fantascienza – avevano rappresentato per me e per la mia formazione.
Ma Asimov, questa riflessione sul significato delle proprie opere e sui concetti che esse veicolavano, l’aveva già fatta propria anni prima. Quanto ne era scaturito, infatti, l’aveva portato per quasi undici anni, dal 1961 al 1972, a non scrivere altro se non saggi. E questi ultimi, solo perché gli garantivano il benessere economico.
Una lunga pausa di riflessione necessaria alla nascita, proprio nel 1972, di un nuovo Asimov: autore più completo e complesso, vicino alla metafisica e al metalinguaggio. Un Asimov forse meno spensierato e “goliarda” rispetto a quello dei primi lavori ma capace di guardare dentro di sé e – come, anche se diversamente da, Borges – ai confini del proprio e del nostro universo.
La chiave di volta, materialmente, è rappresentata da un libro di “fantascienza” dal titolo tripartito: “Contro la stupidità… …neanche gli Dèi… …possono nulla?”. Un titolo che, in realtà, è una citazione tratta da “La pulzella d’Orléans”: opera teatrale scritta nel 1801 dal drammaturgo tedesco Johann Christoph Friedrich von Schiller – nato nel 1759 e morto a Weimar nel 1805 –.
Il titolo ufficiale del libro, però, è solo la parte centrale della citazione, “Neanche gli Dei”, e al suo interno vi sono molte “stranezze” che ci si potrebbero aspettare da autori avvezzi a lavorare sui differenti livelli del significato e dei contenuti.
Per esempio: il libro comincia dal Capitolo 6. “Ah, a proposito, la storia comincia con il capitolo 6. Non è un errore. Ho i miei buoni motivi”; Isaac Asimov da “Una dedica un po’ lunga”, testo inserito come prefazione alla prima edizione del 1972 e alle successive ristampe Mondadori fino al 1992.
I nomi delle entità immature e di altri personaggi hanno significati “diversi” e possono essere letti anche in altre lingue oltre all’inglese.
La struttura del libro, tripartita, è formalmente identica alla struttura – immaginaria – dell’isotopo di plutonio 186 dal quale è scaturita, per una scommessa con Robert Silveberg – altro grande autore di fantascienza e non solo – l’idea iniziale per il soggetto. Non vi spiego perché: dovete leggerlo.
E vi sono molti altri elementi che potrebbero essere ulteriormente approfonditi.
“Dicesi nido…” è un modo come un altro per associare a un concetto un significato. In altri sensi, però, potrebbe aggiungere – o togliere – a un significato vari livelli di concetto. Tanti livelli, sempre per esempio, quanti sono gli universi necessari all’esistenza del plutonio 186 oppure alla creazione di una biblioteca multidimensionale che può sussistere solo all’interno di una realtà fittizia.
Un ossimoro, quest’ultimo, che è – forse – l’inganno stesso della conoscenza.