Bocca di strega, epopea di tombaroli maremmani con voluti – immagino – richiami western.
Ma per spiegare il perché di questa analisi, bisogna prima presentare ai “forestieri” la Maremma: terra quasi incontaminata, percorsa ancora oggi da cavalli e butteri (i cowboy toscani), un tempo fulcro della grande Etruria.
Terra fiera, appartenuta agli Etruschi e governata dai lucumoni, gli antichi re-sacerdoti. Proprio in Maremma, gli Etruschi hanno lasciato tre grandi città: Populonia, Roselle e Vetulonia. E, come testimonianza della loro prosperità, gli straordinari siti archeologici dell’area del tufo: Pitigliano, Sovana e Sorano, che restituiscono ovunque l’immagine di una civiltà colta, aristocratica e laboriosa. Una civiltà che, secondo lo storico Livio, nel VI secolo a.C. “aveva riempito non soltanto le terre, ma anche il mare lungo l’Italia, dalle Alpi allo Stretto di Sicilia”.
Toscana, 1972. La Val di Cornia, estremo lembo meridionale della provincia di Livorno (Maremma Piombinese), si estende tra la Maremma Livornese (storicamente Pisana) e quella Grossetana, a due passi dalla foce del fiume Cornia. È uno dei punti chiave del grande contrabbando di reperti archeologici.
In questa terra degli Etruschi, da secoli i contadini trovano lavorando la terra monili, anfore, ciotole, oggetti artistici di raffinata bellezza, e spesso intere tombe, con favolosi arredi funebri accanto ai resti degli antichi abitanti.
Guido Sacchetti, o meglio “il Bardo”, è da anni il vero re senza corona della Val di Cornia. Forte dell’esperienza maturata ai tempi della guerra, sa dove cercare, scavare e come piazzare quella preziosa “merce”. È il miglior tombarolo della zona: uomo duro ma generoso, noto e rispettato per il suo carattere deciso e giusto.
La sua giovinezza è avvolta nel mistero. Durante la Resistenza, si era rifugiato nei boschi e nelle necropoli per sfuggire ai rastrellamenti nazifascisti. Da lì, ha continuato indisturbato i suoi traffici, accumulando reperti in un deposito segreto, arricchendosi, ma pensando anche alla gente di Baratti e Populonia. Ha costruito un piccolo regno fondato sul rispetto e sulla riconoscenza.
In molti devono qualcosa al Bardo: chi ha potuto nutrire la famiglia vendendo un pezzo trovato, chi ha avviato un commercio grazie al suo aiuto, ottenendo così stabilità economica.
Impermeabile a miti e credenze popolari, e protetto dal silenzio interessato di tutti, nel dopoguerra ha ampliato i suoi traffici.
Così, anche con l’arrivo del boom economico in Maremma, Guido Sacchetti – nome di battaglia Bardo – continua a dettare legge.
Nel cuore di quella che fu l’Etruria, dove la ricchezza è nascosta nella terra, il Bardo ha creato una cortina di omertà, perfino tra le forze dell’ordine. Ha costruito una banda di fedeli, tra i quali, nonostante l’opposizione della moglie, inserisce anche il figlio Giovanni, che “addestra come un soldato”, trasmettendogli segreti e metodi per smerciare i reperti.
La squadra opera con destrezza e discrezione, riportando alla luce tesori che verranno venduti, a volte fino negli Stati Uniti, per poi essere esibiti con orgoglio in musei e collezioni private.
Ma il Bardo ha ambizioni maggiori. Dopo aver concordato un nuovo sistema per smerciare i reperti, decide di eliminare dalla catena i loschi intermediari della vicina Tuscia, ritenuti inaffidabili e troppo esibizionisti, spesso armati.
Tuttavia, qualcosa nell’ingranaggio perfetto del suo commercio comincia a incepparsi, soprattutto dopo la morte della moglie Elisa, da lui sempre amata nonostante le divergenze. Sempre più tormentata e amareggiata, Elisa aveva infine denunciato il marito e i suoi compagni, attirandosi l’odio del paese intero.
La sua improvvisa morte – “per crepacuore”, dicono – trascina il Bardo in un abisso di alcol e sensi di colpa. Dopo mesi di deriva, affida tutto al figlio Giovanni, detto Veleno, e scompare in mare, al largo del Golfo di Baratti. Il suo corpo non sarà mai ritrovato.
Le redini del ristorante La Conchiglia (centro economico della famiglia) e di tutti gli affari passano così a Veleno. Ma Giovanni non è come suo padre. Il suo comportamento incerto genera sfiducia nei membri della banda e tra i piazzisti tradizionali.
Il suo obiettivo sembra essere solo la vendita in California, negli Stati Uniti, dove finiscono spesso i migliori pezzi. Lì, grazie a un regista ossessionato dal collezionismo, potrebbe finalmente sfondare.
La sua corona di re dei tombaroli è dunque in pericolo? Sta forse per rotolare nella polvere, trascinando con sé sudditi e alleati?
Oppure… dietro le sue mosse incomprensibili si nasconde un abile burattinaio? Forse è lui stesso, Veleno, ad aver ordito una bocca di strega – nel dialetto locale, qualcosa di sospetto, sporco, inaffidabile. Una trappola per smascherare i traditori, per colpire chi non è stato fedele ai Sacchetti. O peggio.
Forse ci stiamo avvicinando allo scontro finale, un redde rationem tra i protagonisti, accompagnato dalla musica di Fred Bongusto che esce dal jukebox del ristorante La Conchiglia, un tempo quartier generale del Bardo.
Una grande storia, questa volta un giallo, costruita con intelligenza da Sacha Naspini, autore capace di spaziare con disinvoltura tra i generi, e che qui ci accompagna con un costante velo di sottile ironia.
Un mondo multiforme e colorito, animato dalla prostituta anziana e fedele amica del Bardo, dal pragmatismo del pescivendolo di via Bologna, dall’ingordigia di un marchese decaduto.
Ogni capitolo, narrato in terza persona, è dedicato a un personaggio o a un luogo in cui si svolge un nodo fondamentale della trama. Il continuo mutare della linea temporale mantiene viva l’attenzione del lettore.