In liberia con Anatomia di un mostro, HarperCollins Italia, Brunella Schisa ha cortesemente accettato di rispondere alle nostre domande.
In questo intrigante noir tu vai a scavare nell’anima, nel dolore, nei sentimenti dei personaggi. Li hai resi con molta bravura e profondità: sei appassionata di psicologia?
«Sì lo sono. Se dovessi rinascere non farei la giornalista né la scrittrice ma la psicoanalista. Mi affascina scavare nell’inconscio dei miei personaggi, anche perché è l’unico modo per capirli e per giustificare le loro azioni.
Ti sei ispirata a fatti realmente accaduti?
«Sì, fatti accaduti a me. Giuseppe Berto diceva che uno scrittore è sempre autobiografico. È difficile non usare le proprie esperienze, ovviamente trasfigurandole. È questo il meraviglioso potere di uno scrittore: entrare e uscire dalle vite degli altri, anche dei viventi, prendere spunto, oppure saccheggiarli. Ma la fonte principale rimani sempre tu e il tuo vissuto.»
Nel libro troviamo l’anatomia di un mostro, Biagio Rea, ma anche la vittima lo è. Chi è un mostro? Forse è vicino a noi e non lo sappiamo riconoscere
«È proprio così. Il mostro non è riconoscibile. La sua natura è conosciuta soltanto dalle sue vittime. Per scoprirla ci vogliono indagini e spesso nemmeno bastano. Il titolo di lavoro del romanzo era I miei due mostri, perché in fondo, come la protagonista Nora, io non faccio una graduatoria del Male. Vittima e carnefice nel libro sono due incarnazioni del Male.»
Dentro di noi c’è una parte oscura spesso inaccettabile, non è sempre facile controllare gli istinti peggiori. Ma abbiamo molti filtri che ci aiutano, la legge morale, la legge dello Stato, l’educazione, l’istruzione, la religione: tutto quello che ci controlla e ci limita, evitandoci atti cruenti o criminali. Al contrario di chi questi filtri non li ha.
«Secondo me non è soltanto una questione di filtri. Tutti noi potremmo commettere atti violenti in un momento di follia. I criminologi li chiamano “delitti d’impeto” e credo che vengano concesse delle attenuanti a chi li commette. C’è però chi nasce col male dentro e non c’è legge morale che possa impedire alla natura violenta di manifestarsi. Non credo che siamo tutti potenzialmente mostri. Non lo credo affatto. Mostri di nasce.»
Nel tuo romanzo tratti di violenza psicologica e fisica. Come hai trattato questo argomento?
«Nell’unico modo che conosco. Provando a entrare nella testa di chi compie queste violenze. Ho letto tanto, ho visto film e ho vissuto molto. Alcuni mostri li ho conosciuto a personalmente. Sapevo di cosa parlavo.»
Nora ha scelto la sua professione per arrivare a capire le radici del male e i confini tra bene e male. Temi interessanti che gli scrittori di noir, gialli e thriller trattano spesso, temi grandiosi, ma che possono essere sviluppati anche in libri di intrattenimento, per far riflettere.
«Secondo me si può parlare di qualsiasi argomento indipendentemente dal genere. Il thriller per esempio è quasi sempre un romanzo sociale perché racconta la società. E i libri di bambini pullulano di mostri: streghe, orchi e matrigne cattive. Io da bambina ero affascinata dai personaggi cattivi, soprattutto donne, secondo me ho cominciato a riflettere sulle famiglie disfunzionali dopo avere visto Cenerentola
Il rapporto di Nora con Biagio è morboso e lei è devastata dal senso di colpa, altro tema importante nel romanzo e nella vita di noi tutti.
«Il senso di colpa è nato con l’umanità, la religione se ne è nutrita e la psicoanalisi lo ha destrutturato aiutandoci a capirlo.
Mi permetti qualche domanda personale? Hai scritto molti libri di successo. Quanto è stata facile o difficile la scalata? Il tuo essere donna ti ha limitato?
«Ho cominciato a scrivere dopo i quarant’anni, e soltanto quando mi sono sentita pronta. Nei decenni precedenti ho letto, ho letto tanto. Raccoglievo materiale su la pittrice impressionista Berthe Morisot perché sapevo che un giorno avrei raccontato la sua storia. Il giorno è arrivato vent’anni fa. L’incipit lo scrissi una sera prima di andare a cinema. Sentivo un’urgenza che non poteva aspettare e quell’incipit non l’ho mai cambiato. Quando l’ho finito l’ho consegnato a un agente letterario, quello che mi avevano detto fosse il più cattivo. Aveva scritto una letteraccia a un amico distruggendogli il suo romanzo e ho pensato che fosse la persona adatta per dirmi se ero capace di scrivere. È cominciata così. Ma non ho avuto nessuna limitazione in quanto donna.»
Quali sono i tuoi autori preferiti? E il tuo modello letterario?
«Non ho modelli letterari perché ne avrei troppi. Rubo qua e là. Fondamentali per la mia formazione sono stati i classici ancora vado a spulciare Tolstoj e Flaubert se ho bisogno di respirare. Vent’anni fa avrei voluto scrivere come Edith Warthon e Henry James. Oggi come Margaret Atwood e Tiziano Terzani.
Hai già l’idea per un nuovo libro? Se sì ci puoi anticipare l’argomento?
«Ritorno al romanzo storico e racconto la vita di una donna monacata contro la sua volontà nella Napoli borbonica. Una donna fortissima che quando con l’Unità d’Italia potrà uscire dalla sua prigione si affermerà come scrittrice.»
MilanoNera ringrazia Brunella Schisa e HarperCollins Italia per la disponibilità