Dario il suo ultimo romanzo è ambientato in un paesino sul lago Maggiore e non più in una grande città come Milano, cosa cambia nelle dinamiche della narrazione e nella costruzione dei ersonaggi secondari, più provinciali e sospettosi
Nel 1953, in un’epoca ancora senza televisione, e ovviamente senza internet, le differenze fra gli abitanti di un piccolo paese di provincia e quelli di una grande città erano notevoli, a tutto svantaggio dei cosiddetti “paesani”. Le cause? Mancanza di informazione (i giornali erano persino meno letti di oggi), contatti inesistenti con persone dotate di cultura ed esperienza, nessuna frequentazione di spettacoli teatrali e cinematografici, più una atavica e spiccata diffidenza nei confronti di chiunque che condizionava e limitava i rapporti interpersonali. Di tutto questo ho dovuto tenere conto rappresentando il mondo di coloro che agiscono nell’“Omicidio nel bosco”, che, proprio per la loro chiusura mentale, rendono molto difficile l’investigazione del commissario milanese.
Dopo il penultimo romanzo in cui il commissario Arrigoni non c’era in questo suo nuovo lavoro torna il protagonista preferito dai suoi lettori, immagino ne sentisse la mancanza anche lei, in fondo molti dei suoi ammiratori restano convinti che sia in qualche modo il suo alter ego. E così?Certo, non ho mai pensato di far sparire il commissario Arrigoni, nonostante l’”esercizio” di creare un nuovo protagonista, questa volta di sesso femminile, nel romanzo “La squillo e il delitto di Lambrate”: i miei lettori più affezionati non me lo avrebbero perdonato. Per rispondere alla domanda, Arrigoni non è un mio vero e proprio alter ego, anche se riflette per molti versi il mio modo di pensare su tanti aspetti della vita e, ma questo è ovvio, la sua tecnica investigativa segue un metodo basato su uno stringente ragionamento logico, lo stesso che ho sempre seguito nel mio modo di affrontare qualunque tipo di problema. In comune, abbiamo infine la predilezione per la letteratura francese e russa dell’Ottocento… e per il marsala.
Arrigoni e l’omicidio nel bosco è ambientato nel 1953, ancora una volta l’Italia reduce dalle ferite del dopoguerra ma ancora una volta tutta la bellezza e la poesia di una società che cercava in ogni modo di pensare con ottimismo al futuro. Se dovesse, un giorno, ambientare un suo romanzo ai giorni nostri come descriverebbe invece l’aria che si respira tra i contemporanei?
Settant’anni fa, la volontà di risorgere dopo i disastri della guerra, la speranza di uscire dalla miseria e dalla fame davano animo e forza a tutti, spronandoli a non fermarsi davanti a nessuna difficoltà. La situazione che si vive oggi in Italia è anch’essa caratterizzata da una grande precarietà e incertezza economica, ma, contrariamente al dopoguerra, la gente, soprattutto i più giovani, non vede prospettive per il futuro. E la disperazione porta facilmente al cinismo e all’egoismo, che si traducono in aggressività e mancanza di rispetto per gli altri, che nella peggiore delle ipotesi sfociano nel ricorso alla violenza. Proprio per questi motivi non mi sento di scrivere una “storia gialla” ambientata negli anni 2000, non ritenendoli consoni al mio stile narrativo.
A parte Arrigoni, qual è il personaggio che le piace di più nel suo ultimo romanzo?
Un autore, più o meno, ama tutti i suoi personaggi, positivi o negativi che siano. Per quanto riguarda l’”Omicidio nel bosco”, oltre al mio solito prediletto, l’agente napoletano Di Pasquale, personalmente trovo interessanti due figure. La prima è Rosanna, la bella figlia del padrone della “Locanda del Cervo”, che, a dispetto del fatto che è nata e cresciuta in un paesino di mezza montagna, tiene un comportamento disincantato, per non dire disinibito, che si potrebbe definire molto moderno. La seconda figura è quella dell’oste maestro nella preparazione della polenta e del sidro: un uomo che, grazie a una miscela che fonde capacità professionali e astuzia, sa cavarsela in ogni circostanza. Aggiungo che per questo personaggio mi sono ispirato a un signore veramente esistito che ho conosciuto personalmente.
Se dovesse racchiudere in una sola frase Arrigoni e l’omicidio nel bosco quale sceglierebbe e perché
Ne cito due, di frasi. Al termine dell’inchiesta, Arrigoni dice: “Anche questa è andata, Di Pasquale. Per il rotto della cuffia, ma ce l’abbiamo fatta” e Di Pasquale prosegue: “Abbiamo vinto nonostante giocassimo fuori casa, in un ambiente sconosciuto e, direi, non molto collaborativo”. Parole che da un lato mettono in risalto la tipica modestia del commissario e, dall’altro, la sua capacità di agire in qualunque contesto, anche lontano dal suo rassicurante habitat naturale.
MilanoNera ringrazia Dario Crapanzano per la disponibilità
Qui la nostra recensione s Arrigoni e l’omicidio nel bosco