“Il cigolio delle scarpe sul linoleum del corridoio, il tintinnio delle manette sbattute contro i fianchi dei gendarmi, il silenzio o i bisbiglii ispirati dalla solennità del luogo”.
Rumori, rumori, rumori.
Ma soprattutto bisbiglii.
Quelli delle parole dette dietro ai cappelli, ché la gente non deve intuire le parole, neppure dal labiale.
In questo silenzioso mormorio c’è l’anima dell’ultimo lavoro del bretone Tassel, che spoglia la Gallia dalla sua maliziosa veste di cafè, baguettes e profumo di pain au chocolat per scaraventarci sulle scogliere dove il fetore di mare morto ci assale.
Morto come il piccolo Gabi, annegato sotto gli occhi impotenti dei suoi genitori, che hanno visto volteggiare via la sua giacca a vento rossa.
Rossa, come quel fil rouge che, sotto gli occhi di tutti e di nessuno pare congiungere la morte del piccolo con un altro evento cupo e nero come il mare in tempesta che ha preso Gabi, come se ci fosse l’ombra lunga di una ingombrante presenza a fare da burattinaio tra eventi apparentemente lontani.
Un vero e proprio thriller in cui la componente “gialla” passa la mano al sinuoso insinuarsi di un approfondimento psicologico di rara complessità, che si insinua sibilando tra le maglie di rapporti familiari paralleli, tra le cui pieghe si celano legami e crepe.
La penna di Tassel è gradevolissima nella struttura del romanzo, i capitoli sono ottimamente strutturati e di agevole lettura, anche merito dell’accurata selezione lessicale di Francesca Bononi, scelta vincente di Carbonio Editore.
Mancherebbe una chanson d’Oltralpe per adeguato sottofondo, magari con la sua fisarmonica rubata da Montmartre, ma mai come in questo caso il mare d’inverno dipinto da Enrico Ruggeri sa accompagnare il lettore in queste spire di cupezza narrativa, meglio di ogni altro brano.