Il mistero della giovane infermiera



Dario Crapanzano
Il mistero della giovane infermiera
Mondadori
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Milano, 1953.
Il corpo di una ragazza giovanissima, e bellissima, viene ritrovato in un cantiere vicino a corso Buenos Aires. Accanto al cadavere, un robusto martello costellato di macchie di sangue: l’arma del delitto.
Le indagini, in una città che sta risorgendo dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale, vengono affidate al commissario Mario Arrigoni, il “Maigret del Porta Venezia”, come lo definiscono i giornali dell’epoca.
Grazie ai tanti casi già risolti da Arrigoni e i suoi uomini, tutti – tranne i lettori, ovviamente, per i quali altrimenti il gioco finirebbe nel giro di poche pagine – si aspettano una risoluzione veloce del mistero, che sembra un banale omicidio per furto.
E invece.
La vittima, Gemma Salvadori, è un’infermiera di ventitré anni la cui sconcertante bellezza la fa giudicare dagli altri una ragazza di facili costumi, preda delle voglie non solo del fidanzato ufficiale, ma anche e soprattutto del responsabile della clinica in cui lavora, il dottor Francesco Vinciguerra, un uomo dalla moralità non proprio specchiata, sensibilissimo al fascino femminile e collegato, come tutti gli uomini “arrivati”, ai politici che controllano e gestiscono le sorti della città.
I sospetti ricadono subito su di lui, oltre che sul fidanzato, un giovane tassista che ha sicuramente amato Gemma più di quanto lei abbia amato lui.
Ma Arrigoni sa bene (è uno degli indizi della sua umanità) che un movente non fa un assassino, e così l’intero romanzo si srotola non sull’azione e sugli inseguimenti, a cui ci hanno abituato i romanzieri e gli sceneggiatori di oggi, ma sugli interrogatori, sulla ricerca delle contraddizioni nelle deposizioni, sulle facce e le espressioni degli interrogati, su quel non verbale che conta enormemente di più di tutte le affermazioni o le contraddizioni…
L’omicidio della giovane Gemma è così l’occasione per l’autore di far sfilare davanti agli occhi di Arrigoni e dei lettori una serie colorita di tipi umani, che fra smentite, conferme, alibi fragili o all’apparenza solidissimi, moventi poco convincenti o così potenti da suonare già come una condanna, porteranno anche questa volta alla soluzione del caso (quasi all’ultima riga), e a un ritratto della defunta al di là delle voci e degli stereotipi, una ragazza forse non proprio angelica ma nemmeno satanica come viene dipinta da tutti (dalle chiacchiere delle portiere in primis) sin dalle prime pagine.
Protagonisti del romanzo, insieme al corpulento commissario, amante delle passeggiate, della famiglia e delle vecchie trattorie milanesi, sono i suoi uomini (il vicecommissario capo Mastrantonio, l’agente Di Pasquale e l’ispettore Giovine) e i vari personaggi chiamati a rispondere alle domande incalzanti, ma sempre pacate, di Arrigoni.
Pubblicati inizialmente per la Fratelli Frilli, piccolo ma “glorioso” editore di gialli genovese, Dario Crapanzano e il suo commissario sono approdati alla Mondadori dopo quattro romanzi: Il giallo di Via Tadino, Arrigoni e la bella di Chiaravalle, Arrigoni e il caso di piazzale Loreto, Il delitto di via Brera.
Quella della giovane infermiera è la settima avventura di Arrigoni (la quinta e la sesta sono Arrigoni e l’omicidio di via Vitruvio e Arrigoni e l’assassinio del prete bello, tutti per i tipi della Mondadori, che ha acquistato la backlist degli altri): una storia che spacchetta e racconta, con poesia, una Milano che non esiste più. Non stiamo nemmeno in quella di Scerbanenco, ma in una città ancora precedente, fatta di caseggiati in costruzione, trattorie a conduzione familiare, portinaie pettegole e tram sferraglianti. Un mondo lontanissimo dalla frenesia di oggi, dai lounge bar e dagli happy hours, un mondo che – se proprio non scomparso del tutto – è in via di estinzione, come lo stesso commissario Arrigoni, un uomo d’altri tempi, e come lo stile pacato dello scrittore, che pochissimo o nulla indulge alla modernità e al trivio della maggior parte della letteratura di oggi.
Un giallo da leggere come lo leggerebbe il suo stesso protagonista: stando seduto.
E possibilmente in poltrona.

 

Marco Scarlatti

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