Intervista a Andrée Michaud- L’ultima estate

Incontriamo Andrée Michaud dopo l’uscita in Italia di “L’ultima estate”,Marsilio, il suo ultimo romanzo giallo che ha ricevuto il premio canadese Governor General per la letteratura.
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“L’ultima estate” è ambientato a Bondrée, un’area all’interno del Quèbec vicino al confine con gli Stati Uniti, durante l’estate del 1967. Perché ha scelto questo bellissimo luogo boschivo di villeggiatura e questo anno per il suo romanzo giallo?
Ho conosciuto Boundary quando ero bambina, quindi molto tempo fa, e ho sempre mantenuto di questo luogo dei ricordi pieni di odori, di ombre e di luci che mi ritornano alla memoria con il solo pensare al luogo. Nel momento in cui ho cominciato a scrivere questo romanzo, soggiornavo, grazie a una borsa di studio, nella casa di campagna di Gabrielle Roy, una dei nostri grandi autori, e faticavo a trovare il soggetto che mi poteva attirare. Fino alla sera in cui, seduta nella veranda, un odore di foglie morte mi ha portato alla memoria i profumi di Bondrée. A partire da quel momento, ho saputo che il mio romanzo poteva avere come cornice quel luogo selvaggio che, all’epoca, non aveva che due o tre riserve di caccia. Naturalmente il personaggio di Pierre Landry, che sopravviveva mettendo trappole per gli animali per avere le loro pellicce, è il primo che si è presentato in quella cornice. Del resto la Bondrée che avevo conosciuto assomigliava di più a quella in cui aveva vissuto Pierre Landry piuttosto che a quella in cui hanno luogo gli avvenimenti descritti nel romanzo. In seguito ho fatto di Landry un fantasma la cui leggenda abita quei luoghi e si perpetua fino agli anni sessanta, periodo nel quale tenevo a situare l’intrigo perché sono gli anni della mia infanzia, che io associo inevitabilmente a Bondrée.

“L’ultima estate” é raccontata da vari punti di vista, anche se la voce preponderante è quella di Andrée, una ragazzina di dodici anni. C’è un motivo particolare per il quale ha scritto il romanzo con questo stile?
Il motivo è che desideravo che l’intrigo del romanzo si sviluppasse negli anni della mia infanzia, e siccome volevo ritrovarci gli stessi colori, è stato naturale per me che la narratrice principale fosse una bambina. In corso d’opera, la presenza di questa bambina mi ha permesso di parlare del suo primo incontro con la morte, e della perdita dell’innocenza e del confine fragile che esiste fra l’infanzia e il dramma, che può farla precipitare proprio dove la spensieratezza perde il suo senso. Il mio obiettivo, in effetti, era di opporre il punto di vista di questa bambina, che non era ancora stata segnata dai pregiudizi che circolavano attorno a Sissy Morgan e a Zaza Mulligan, al punto di vista degli adulti che la circondavano. Ho dovuto quindi far ricorso a un narratore onnisciente che si prende in carico tutti gli altri personaggi, ivi compreso l’ispettore Michaud e il suo collega Jim Cusak.

Andrée, una dei protagonisti del romanzo, ha il suo nome di batteismo, mentre l’ispettore Michaud ha il suo cognome. Forse la ragazzina impersona la sua giovinezza e l’ispettore il  punto di vista della sua maturità?
All’inizio il fatto di dare il mio nome e il mio cognome a questi due personaggi è stato semplicemente come strizzare l’occhio al lettore, per dirgli che l’autrice di nascondeva dietro ciascuno dei suoi personaggi, qualsiasi essi fossero, e, al limite, tutti i miei personaggi avrebbero potuto avere il mio nome, ma questo avrebbe potuto creare una certa confusione. Tuttavia mi rendo conto oggi che ho donato a questi due personaggi, e in modo assolutamente inconscio, molte delle mie caratteristiche. Lei ha quindi ragione nel supporre che l’infanzia della giovane Andrée ha dei legami con la mia infanzia, e che la figura dell’ispettore Michaud è la figura della maturità, con tutti i tormenti e gli interrogativi che vi si possono associare. Io aggiungerei in effetti, che condivido i tormenti dell’ispettore Michaud, anche se non mi sono mai confrontata con una violenza quotidiana come accade a lui, e che invece certi ricordi che gli presto sono anche i miei.

Ci sono molte frasi scritte in inglese che non sono state tradotte, come per rimarcare una certa differenza fra i personaggi americani e quelli canadesi. Lei pensa che le persone pensino o si comportino in modo diverso a seconda della loro nazionalità, o forse era così negli anni Sessanta?
Per me è chiaro che la lingua parlata influenza in parte il nostro modo di pensare, anche se ci sono numerosi altri fattori che vanno considerati. So che ci sono molte scuole di pensiero su quest’argomento, ma personalmente aderisco a questo: sì, la lingua di comunicazione naturale di un individuo, la sua lingua materna forgia fino a un certo punto la sua visione del mondo. Detto questo, ho inserito qua e là nel testo dei passaggi in inglese per assicurare la verosimiglianza del racconto. In effetti, dato che le azioni si svolgono in un luogo di frontiera dove si confrontano degli anglofoni e dei francofoni, la verosimiglianza esigeva che questa distinzione linguistica fosse indicata, in un modo o nell’altro. Questa differenza è anche visibile nei discorsi di Andrée, nel suo modo di storpiare l’inglese, nel rimorso dell’ispettore Michaud, che è dispiaciuto di aver perso la lingua dei suoi antenati, nell’intervento di Brian Larue, che farà da interprete per la polizia, ecc. “L’ultima estate” costituisce poi il terzo libro di quella che ho intitolato la mia trilogia americana, che è cominciata con “Mirror Lake” e “Lazy Bird”, due altri miei romanzi. Questa trilogia non è fondata sul ritorno di certi personaggi da un romanzo all’altro o sulla continuità di una narrazione, ma proprio sui temi che affronto, in particolare sulla situazione dei francofoni nel Québec e negli Stati Uniti. In questi romanzi volevo interrogarmi su quanto, al di là della lingua, ci avvicina e quanto ci distingue dai nostri “vicini del sud”, gli americani, che con noi condividono numerosi tratti culturali che, tuttavia, si definiscono in modo differente nel Québec. Si tratta di una trilogia sulla nostra “Americanità”, essendo canadesi del Québec, e sulla nostro situazione particolare essendo francofoni in America.

La storia di “L’ultima estate” avviene in una piccola comunità di famiglie americane che sono in vacanza in un campeggio isolato nel Québec. Lei pensa che questo tipo di comunità possono essere sconvolte più facilmente da crimini e violenza?
E’ strano, perché questa domanda mi è stata posta due volte recentemente e io non l’avevo mai pensata in questi termini. Io non credo che i campeggi o i luoghi di villeggiatura siano luoghi più propizi al crimine o alla violenza piuttosto che i luoghi urbani. Credo al contrario che l’isolamento di questi luoghi e la presenza della natura siano dei terreni fertili per costruire una storia che si concluderà in un dramma. Ironicamente una gran parte del mio romanzo più recente, “Tempête”, che è appena stato pubblicato nel Québec, si svolge nello stesso modo in un campeggio dove si sviluppano degli avvenimenti a dir poco violenti. In questo caso preciso, ho scelto ancora il luogo in funzione del suo isolamento, ma anche perché in questo genere di luogo si trova una piccola comunità che, nell’arco di poche settimane, vive una specie di anarchia, staccata dal resto del mondo e sottomessa alla promiscuità.

Gli avvenimenti che succedono a Bondrée nell’estate del 1967 cambiano la vita di tutti i personaggi giovani del suo romanzo. Ho amato la sua abilità nel descrivere l’ultima estate dell’infanzia delle quattro ragazza: Zaza, Sissi, Frenchie e Andrée. Penso che il suo romanzo noir sia decisamente anche un Bildungsroman che racconta il passaggio dall’innocenza all’esperienza. Lei è d’accordo con me?
In effetti sono d’accordo con lei. Come dicevo prima, nel caso preciso della giovane Andrèe, l’estate del ’67 segna la fine dell’innocenza e il passaggio a un’età che non è ancora l’età adulta, ma non è più nemmeno quella dell’infanzia. E’ un momento di transizione, una frontiera poco certa dalla quale Andrée ormai guarda il suo avvenire. D’altra parte la questione della frontiera è onnipresente nel mio romanzo: frontiera geografica, frontiera linguistica, frontiera fra l’infanzia e l’età adulta, frontiera fra il bene e il male, fra l’inferno e il paradiso. Nel caso di Frenchie il passaggio sarà ugualmente molto brusco, perché lei perderà nel corso di quell’estate due ragazze delle quali voleva essere amica.  Per quel che riguarda Zaza e Sisy, loro conosceranno solo la spensieratezza di quell’estate senza sapere che sarà la loro ultima estate.

“L’ultima estate” sottolinea il potere dell’amore ma anche i suoi aspetti devastanti: Pierre Landry e il suo amore non corrisposto agiscono come un fantasma lungo tutto il romanzo. Jim Cusack, l’assistente di Pierre Michaud, è davvero innamorato di sua moglie ma non capisce che le investigazioni lo stanno portando lontano da lei. Lei ha veramente un’opinione così negativa dell’amore?
Peccato che questa intervista non sia stata registrata, perché mi avrebbe sentito ridere. E’ vero che non do all’amore un’immagine molto positiva, ma le storie d’amore che durano sono, sfortunatamente, molto poche. Non ho a priori un’immagine negativa dell’amore, ma sono cosciente che si tratta di un sentimento complesso, che unisce individui che essi stessi portano con loro un carico di complessità, e che, a partire da questo fatto, l’amore è un sentimento molto fragile che non può sopravvivere a certe situazioni. L’amore di Pierre Landry, ad esempio, è votato all’eccesso fin dall’inizio, perché si tratta di un amore immaginario. Nel caso di Cusack non mi sono inventata nulla, ho solo ripreso uno dei vecchi clichés che dicono che l’amore non resiste all’assenza. Al contrario, credo di donare un’immagine piuttosto positiva dell’amore nel caso dell’ispettore Michaud e di sua moglie Dottie. Questa coppia è fondata sull’accettazione dell’altro così come è e, proprio per questa ragione, è stato in grado di durare ai venti e alle mareggiate. Dal mio punto di vista, Michaud e Dottie sono l’esempio perfetto dell’amore che, grazie al tempo e alla saggezza, si trasforma in un’unione incondizionata.

La musica e le canzoni degli anni Sessanta sono spesso evocate nel suo romanzo. Come fan dei Beatles, mi è piaciuto il tema ricorrente di “Lucy in the Sky with Diamonds”. Quale importanza ha la musica per lei, come donna e come scrittice?
Quando scrivo mi servo innanzitutto della musica che può testimoniare di un’epoca. I pezzi musicali che attraversano “L’ultima estate” mi sono serviti a situare il momento dove si svolge l’azione e a far entrare il lettore in un certo ambiente e in una certa atmosfera. I pezzi musicali permettono anche di parlare della cultura musicale di miei personaggi, il che corrisponde proprio a uno dei miei propositi della mia trilogia americana: sapere che francofoni e anglofoni di uno stesso continente possono ricongiungersi o distinguersi, non fosse altro che per la musica che ascoltano. Ho anche parlato molto della musica nel mio “Lazy Bird”, il cui titolo è preso da un pezzo musicale di John Coltrane, e il cui personaggio principale è un disc-jokey. La musica, in quel romanzo, occupa uno spazio molto importante ed è grazie alla musica che raggiungo lo stile della narrazione. Detto questo, non sono assolutamente un’esperta di musica e per “Lazy Bird” ho dovuto fare numerose ricerche.

Grazie per il suo tempo e il suo interesse nel rispondere alle mie domande sul suo romanzo.
Ringrazio lei per la sua lettura molto pertinente de “L’ultima estate”.

MilanoNera ringrazia Andrée Michaud e la Marsilio per la disponibilità.
Qui la nostra recensione a L’ultima estate

Raffaella Bianchi

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