A un passo dal botto che cambiò la storia dell’Italia repubblicana. A Milano il 1969 è arrivato a lunedì 8 dicembre. Al quartiere Lorenteggio viene rinvenuto il cadavere di una ragazza abbandonato in un prato. Se si decide per il suicidio, come la prima evidenza sembrerebbe indicare, sai quante rogne in meno? Al commissario Oliveri però le verità di comodo non sono mai andate troppo giù in quasi 40 anni di onorato servizio. Proprio ora poi, a una settimana dalla pensione. E allora inizia a scavare. Lo deve a se stesso e a sua moglie Amalia, da undici mesi costretta a vegetare in casa.
È l’epoca del movimento operaio e studentesco. Milano e l’Italia intera camminano su bombe innescate. La politica può essere un indizio di partenza ma, quando le morti iniziano a fioccare un giorno dopo l’altro, l’olfatto investigativo dirige il commissario altrove. E quando suonerà l’ora X alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, solo lui rimarrà a declinare l’orrore al plurale.
Il colore della vergogna è l’opera prima di Alberto Paleari, classe 1975, esperto di semiotica del romanzo giallo. Il primo passo di «una pentalogia in sei volumi» nelle parole dell’autore stesso al salone “Un libro a Milano”. Pubblicato dalla ticinese Todaro editore (nella collana curata da quella autentica garanzia a denominazione di origine controllata e protetta conosciuta all’anagrafe come Tecla Dozio), il libro stupisce e convince.
Stupisce per la maturità che dimostra. La scrittura è governata con rigore, il procedere degli eventi non si fa mai anticipare dal comprensibile desiderio esordiente di inserire tutto e subito, né il setting storico si trasforma in insopportabile lezioncina di storia, restando invece naturale cornice scenica frutto di una corposa ricerca e documentazione.
E convince per la storia raccontata, anticipo in minore della tragedia del 12 dicembre, ma piena di tutti quei colori e odori che avevano iniziato a creare l’humus di Milano e che avrebbero accompagnato la città per tutto il decennio successivo. Un romanzo popolare (a partire dal nomen omen scelto per il protagonista) che è una dichiarazione di riconoscenza, se non proprio d’amore, verso il giallo tradizionale (il suo contraltare musicale potrebbe essere il suono dei Calibro 35, per intenderci). Un lieve sbrego nel finale non intacca il profilo trascinante della storia. Ideata, scritta e curata con un’accuratezza che non è proprio abituale trovare nelle librerie oggi. Gialle, nere o lilla che siano.