«La verità è come un frammento di cristallo. Così lucente da abbagliarti, ma anche così aguzzo da poterti ferire fino a farti sanguinare». E l’anima doppia di questa formazione mineralogica, ossido di silicio e ossido di piombo, ragione del suo riflesso splendente quanto della sua natura acuminata, permea tutto l’intenso romanzo di Livia Sambrotta (Cristallo, SEM Libri, 4 giugno 2024), cui nessun altro titolo sarebbe stato più azzeccato.
Cristallo come l’avveniristico chalet ai piedi delle Dolomiti, “un lucente guscio di design, che si staglia come una goccia trasparente tra l’immensità delle montagne. Un bellissimo acquario in mezzo al bosco», dove Rachele viene condotta dal marito Max, per una vacanza di assoluto riposo nei luoghi che l’hanno vista bambina.
Entrambi poco più che trentenni, entrambi di successo – lei fotografa di fama internazionale, lui architetto rampante di una Milano tra design e sostenibilità – possono finalmente concedersi un pigro agosto, nello scenario incantevole di Domegge di Cadore, che Rachele ha abbandonato giovanissima dopo gravi lutti famigliari. Max, curioso di conoscere i luoghi nativi della moglie amatissima, ha pensato di donarle una vacanza lontana da tutti, in quella baita esclusiva firmata da uno studio finlandese d’avanguardia, in «equilibrio tra calcolo umano e natura selvaggia».
All’inizio è proprio così. Il lago dai riflessi smeraldo di Centro di Cadore, il piccolo paese di fiaba che vi si affaccia, le vette delle montagne «screziate d’argento», la vicinanza del marito appassionata e rassicurante, tutto sembra convincere Rachele a scendere a patti con un percorso di ricordi mai accettato in precedenza. Ben presto però l’idillio iniziale si increspa di percezioni oscure. Rachele si sente osservata ed esposta tra le pareti trasparenti dello chalet, incontra conoscenti che la turbano, inizia a nutrire dubbi anche sul marito che nasconde il cellulare o si allontana per telefonare. Sospettosa di tutto, ricade nelle insonnie che hanno devastato le sue notti da quando la tragedia si è accanita sulla sua famiglia e che ora si ripresentano «come creditori che reclamano un conto non saldato».
Non la rallegra neppure la prospettiva della festosa grigliata di Ferragosto che Max ha organizzato coinvolgendo amici vecchi e nuovi, quasi prigioniera di un cupo presentimento. Che presto purtroppo si traduce in realtà, ed è un vero massacro: il marito accoltellato a morte all’interno dello chalet, come Oliver, medico di base di origine libanese; Andrea, guida alpina che Rachele conosce da sempre, scaraventato in un burrone; Lana, proprietaria del bistrot dove è nata la loro amicizia, precipitata in auto e caduta in coma. E Rachele stessa, unica sopravvissuta, rinvenuta nello chalet priva di sensi per un violento colpo alla testa.
Gli inquirenti accorsi in forze, pur avvalendosi delle più moderne tecnologie investigative, non riescono a sbrogliare la tragica dinamica: l’arma del delitto, forse un coltello da cucina, sparita; nessuna traccia di presenze estranee oltre ai partecipanti alla grigliata; Rachele, unica probabile testimone, immersa in un sonno da farmaci per prepararla ad affrontare l’ennesimo trauma che la vita le presenta.
Ma Rachele è vittima o colpevole? Se lo chiede senza sosta il colonnello Bogo del Comando Provinciale dei Carabinieri di Belluno, un super investigatore che non concede sconti a nessuno, tantomeno alle gravi condizioni psicologiche in cui versa Rachele dopo la tragedia. All’ostinata ricerca di una sua verità, forse diversa da quella che pare più plausibile.
L’indagine serrata si dipana attraverso una trama ineccepibile e convincente, a sbrogliare gli intricatissimi nodi che rinserrano passato e presente di Rachele. Il suo ritorno alla realtà sarà foriero di un inevitabile dolore ma, forse, di una nuova consapevolezza.
Cristallo è un romanzo di grande forza narrativa, uno dei più convincenti in cui mi sono imbattuta negli ultimi anni, al quale l’intreccio complesso e trascinante non sottrae alcun vigore di scandaglio psicologico.
La prima parte, dedicata al prologo del massacro, è dominata dalla sfaccettata personalità di Rachele, in bilico tra la bellezza di un presente di affermazione e la paura per gli esiti di un passato di perdite. Da quando a soli dieci anni ha perso il fratello maggiore, con la sua macchina fotografica indaga ossessivamente il legame che esiste tra quei consanguinei, un codice segreto precluso agi estranei, «una corrispondenza fatta non solo di gesti, ma anche di espressioni inventate, occhiate complici, neologismi comprensibili solo a loro». Quei suoi ritratti le hanno dato la fama, eppure il quesito che ne sta alla base è sempre lì, motore pulsante della sua esistenza e insieme incessante condanna.
Il precipitare di Rachele nel passato, attraverso il disturbante contatto con i luoghi che l’hanno privata della sua famiglia, si traduce nella sottrazione di ogni sicurezza, fino all’estremo dubbio sulla propria stabilità psichica. La casa stessa, quella della sua infanzia o la dimora temporanea dello chalet, assume il ruolo di simbolo inverso: non nido rassicurante, ma luogo di tragedia come la villetta dei genitori a Domegge o luogo senza riparo, come la baita Cristallo.
Il tema del doppio attraversa come un potente fil rouge l’intero romanzo: Rachele affamata d’amore eppure convinta che «qualunque azione, qualunque sforzo faccia per rendere la sua vita migliore, alla fine viene vanificato dalle persone che più ama»; Max marito modello o potenziale impostore; Oliver, medico empatico o custode di un oscuro segreto; Andrea, indefesso scalatore o figlio anaffettivo; Lana, solare ristoratrice o nemica di Rachele.
Non a caso infatti il termine “maschera” ricorre di frequente nel romanzo: Rachele smascherata nelle sue origini cadorine; il volto di Rachele che diviene una maschera di ghiaccio quando, al risveglio dal sonno indotto, viene informata del massacro di Ferragosto; la maschera di sangue evocata da un personaggio secondario che, curiosità intrigante, compare qui in una sorta di spin-off del precedente romanzo dell’autrice, Non salvarmi.
E i simboli peraltro abbondano in Cristallo, in una sempre intelligente citazione. Soprattutto di Twin Peaks, la serie cult di David Linch andata in onda a inizio anni ’90, cui la segheria di Cima Gogna e il bar Saetta sono debitori: la prima all’azienda dei Packard, il secondo al Double R Diner. E che dire dell’acero rosso piantato da Rachele nella sua infanzia? Che sembra averle custodito l’anima, lei così simile a quel fusto smilzo che pure si è dimostrato capace di resistere alla furia della tempesta. Come in Twin Peaks, infatti, anche in Cristallo i boschi sembrano i depositari delle anime, in una storia dominata da “qualcosa” che le consuma, «una fusione di rabbia, paura, solitudine» che fa «pulsare un cuore nero e lo scaraventa nel suo abisso».
Sullo sfondo di montagne che a ogni pagina non mancano di far sentire agli umani la loro irraggiungibile grandezza, Livia Sambrotta firma un romanzo memorabile, del quale si intuisce la complessità di progettazione ma che scivola via con la sinistra naturalezza di una convincente realtà.