
Il thriller è il suo pane da anni ma ogni volta ci sorprende con nuove sfumature criminali e con la sua scrittura vibrante di tensione. In particolare, il 2025 è un anno d’oro che ha regalato a Paola Barbato due premi: il Premio Bancarellino con Horror Game e il Premio Nebbiagialla con La Torre d’Avorio.
Ora è in tour per presentare Cuore capovolto (Neri Pozza Editore). L’ho incontrata il 4 novembre a Verona alla libreria Jolly, in dialogo con la scrittrice Alessia Gazzola, che ha delineato i temi e le sfide poste al lettore dal nuovo libro. “Un romanzo che fonde suggestioni alla Adolescence e Black Mirror, e che aggancia il lettore subito” ha premesso Alessia Gazzola. “In modo originale e a partire dalla pervasività della tecnologia nelle nostre vite”.
Paola Barbato ha risposto così alle mie domande ad hoc per Milano Nera:
Questo romanzo parla di fragilità e affonda le unghie narrative in una situazione sensibile: da dove è nato?
“È un libro che ha avuto una genesi a frammenti: include molte tematiche. In questo periodo storico, in cui stanno accadendo fatti gravi, dal gruppo Mia moglie al recente gruppo in cui VIP si sono ritrovati in versioni hard creati dall’AI, c’è una grande compenetrazione tra reale e virtuale. Il punto è che spesso si sottovaluta l’impatto che una dimensione ha sull’altra e ciò accade soprattutto per i ragazzi. Ma non riguarda solo loro: è forse più evidente per i giovani, ma accade anche a noi che padroneggiamo meno gli strumenti digitali e che, pertanto, siamo vittime più vulnerabili. Cito il caso di un uomo che era convinto di avere una relazione a distanza con una fotomodella a cui inviava soldi e poi si è scoperto che si trattava dell’amica della cognata che lo stava truffando. Lui aveva gli strumenti digitali e la maturità ma è caduto lo stesso nella rete. Di conseguenza, stiamo correndo tutti un pericolo enorme, non solo le vittime fragili che si ritrovano in Cuore capovolto”.

Chi è il tuo protagonista?
Al centro di questa storia c’è Alberto Danini: un poliziotto informatico pingue di 46 anni che sta perdendo i capelli e vive con il marito Emanuele, radiologo, un po’ sadico e manipolatore con lui. Alberto lavora sotto copertura e si immedesima nell’ipotetica vittima di un pericolo. Nel caso narrato, entra nei panni di un tredicenne, di cui impara il modo di rapportarsi, il significato delle emoji, come parla. Nel suo curriculum di esperienze c’è anche un disabile, un tossicodipendente, per fare qualche esempio, comprese nel dipartimento ‘figure fragili’. È un uomo che si sente tutelato e al sicuro perché conosce tutti i trucchi del mestiere. Il punto è che quando ci si considera immuni si abbassa la guardia: così succede ad Alberto Danini e la caduta sarà molto dall’alto e precipitosa. In realtà sarà molto difficile comprendere da quanto tempo lui stia cadendo…
Costruire trama e personaggi ti ha richiesto un atteggiamento particolare in fase di scrittura?
Ho guardato più a me stessa e alle convinzioni che ho di quanto non abbia guardato al mondo dei giovani intorno a me. Il focus, in effetti, non è su di loro: il timore generale è che siano loro le vittime ma nel mio libro, in realtà, non sono mai i ragazzi ma gli adulti. Adolescence, fatalità, è uscito quando avevo appena concluso il romanzo. Ma i ragazzi sono comunque al centro dell’attenzione: essi spesso si deresponsabilizzano dicendo: ‘ma per me era un gioco’. Un fenomeno che non riguarda solo oggi ma risale a circa trent’anni fa quando ragazzi gettarono sassi dal cavalcavia, uccidendo così una persona. Un atteggiamento di sottovalutazione che probabilmente si è verificato anche molto tempo fa, correlato al fatto di crescere più velocemente e non ritrovarsi nel ruolo che la società ci attribuisce. Ciò cambia di generazione in generazione: i ragazzi prima erano troppo responsabilizzati, ma poi sono stati deresponsabilizzati e quindi? Come recita il detto: come si fa, si sbaglia.
Che cosa c’è di Dylan Dog – fumetto di cui collabori alla sceneggiatura – che ti stimola nella tua attività di scrittrice e perché?
Dylan Dog ha il pregio di vivere nel dubbio. Ha quattro certezze in croce, ma la maggioranza delle sue azioni nascono dall’impossibilità di crederci e dalla ferrea volontà di verificare ogni stranezza. Per me la coltivazione del dubbio è la più grande forma di tutela che ci sia.
Che cosa ti ha sorpreso di più dai commenti dei primi lettori di Cuore capovolto?
Mi ha fatto piacere apprendere che una determinata scena che considero molto dura abbia fatto scappare qualche lacrima. A questo punto, vi invito a scoprire quale.
MilanoNera ringrazia Paola Barbato per la disponibilità