Nella luce di un’alba più fredda – Hanz Tuzzi



Hans Tuzzi
Nella luce di un’alba più fredda
Bollati Boringhieri
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Hans Tuzzi, dove abbiamo già sentito questo nome? Senza dubbio molti lo associano all’autore di una serie di gialli storici con protagonista Neron Vukcic ed ai romanzi gialli ambientati a Milano con al centro il commissario Norberto Melis. La nota più curiosa, a mio avviso, è che Tuzzi rappresenta lo pseudonimo di Adriano Bon, bibliofilo raffinato ed erudito saggista, tanto da aver scelto di firmare le sue opere con il nome di un personaggio tratto da L’uomo senza qualità (Der Mann ohne Eigenschaften), romanzo incompiuto suddiviso in tre parti dello scrittore austriaco Robert Musil. La particolarità è che questa rappresenta una delle opere più importanti della letteratura mondiale, caratterizzata dall’essere monumentale, il lavoro di un’intera vita, come lo è stata Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust e, almeno in parte, l’Ulisse di James Joyce. Al centro della narrazione di “Nella luce di un’alba più fredda” troviamo ancora Norberto Melis poliziotto colto e sofisticato (che personalmente mi riporta alla mente il Philo Vance di Van Dine che tanto piace a Chandler), patito d’uno sport nobile come l’equitazione, promosso a primo dirigente della Questura milanese nel precedente romanzo di Tuzzi dal titolo “Polvere d’agosto”. Dall’afosa ambientazione estiva del 1989 si passa all’autunno inoltrato del 1990 che rappresenta un anno difficile per Milano, una città ormai imbevibile in cui si registreranno più di 100 omicidi in città, nella maggior parte dei casi legati a regolamenti di conti fra la malavita organizzata. Proprio sullo sfondo di questa Milano Tuzzi disegna gli intrecci tra mafia, politica e imprenditoria, narrando più che egregiamente il clientelismo e la corruzione ed i presunti legami di questi con le stragi dell’epoca. In questa sua nuova fatica Tuzzi parte seminando personaggi a raffica, dal ragionier Calamatta al perito agrario Venchiarutti, passando per il ragionier Littorio Muscarelli di evocazione fascista, dal travestito Jenny Féscion a Egisto Bazzi alias il Cunchett. Inoltrandoci nella pletora di protagonisti il lettore si troverà di fronte a Pacomio ed Eutimio Tripodi, ai gemelli Buono e Corso Pueraro, ai nomi di un’Italia che non esiste più come Ermippa, Igerio, Pineide, Resvinda, Walman, Zelmira che fanno capolino tra le lapidi di un sorpassato cimiterino. I cadaveri non mancano in questo episodio, provocati da una catena di sant’Antonio della truffa nota come “metodo Ponzi”: alle anziane Rosa Pitanga e Annunziata Sarnataro, intontite e poi avvelenate, si aggiungono l’avvocato Erio Galeotti (nome che è tutto un programma) e la ragazza di vita Orsola Pennella. Il tutto fra stradine, chiostri e parapetti di una vecchia Milano fatta rivivere negli intercalari dialettali di quasi tutti i personaggi. Tuzzi affida al lettore stesso la possibilità di capire se le vittime di cui narra hanno un legame tra di loro, a partire dalla presenza di misteriose ed ingenti cifre di denaro cui, a rigor di logica, queste non dovrebbero avere accesso vista il tenore di vita che conducono. La bravura di Tuzzi è proprio quella riuscire a creare una relazione quasi fisica tra il lettore ed il romanzo, concedendo un varco attraverso il quale lo stesso può muoversi con i personaggi, soffrire il freddo, il caldo, bagnarsi per la pioggia, sorridere per le battute scherzose, diventare di fatto uno dei protagonisti. In estrema sintesi la sua scrittura nitida, lucida ed a tratti quasi lucente crea vicende credibili concedendo la possibilità di un’ottima lettura agli appassionati del genere.

Gianluca Iaccarino

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