Una testa mozzata



irvine welsh
Una testa mozzata
guanda
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Appassionato come sono di quest’autore, confesso che le recensioni pubblicate mi avevano spaventato. Tutti si aspettavano più emozioni, elettricità, colpi di scena. Alcuni hanno anche definito questo libro come un “incidente di percorso.” Complici dell’equivoco i frizzanti commenti della prima e della quarta di copertina che, agli occhi di molti, si sono rivelati più messaggi commerciali che giudizi genuini. Forse, però, tutto ciò nasce da un’errata aspettativa. Vediamo meglio.

La storia è squisitamente welshana. Scozia periferica, grigia, triste, dolorosa, squallida, priva di eventi. Jason è lo specchio di tutto ciò. Fa poco nella vita, non va neanche più a cavallo. Gioca a subbuteo, si masturba di continuo, beve fiumi di Guinness, fantastica su ragazze varie, soprattutto su una certa Jenni. Di estrazione più altolocata rispetto al suo segaiolo fan – il padre è un odioso ed ottuso imprenditore locale -, inizialmente lo tiene a distanza, per poi cedere e dare vita a quella che è stata definita una “storia d’amore.” In effetti lo è, nonostante la tristezza sempre presente, la routine mortale, l’assenza totale di stimoli, il grigiore che invade spietato tempo e spazio. I due si mettono insieme e subiscono l’inquietante piattezza esistenziale del Fife – terra natia dello scrittore, situata a nord di Edimburgo -, tra cavalli perdenti, abbondanti birre e vodka Red Bull, qualche sconceria sessuale, episodi strampalati e, come dice il titolo stesso, anche una testa mozzata. Forti della loro inaspettata unione, condividono quotidianamente un cronico desiderio di fuga, intravedendo, al di là della pochezza della loro terra, un barlume di speranza, una possibilità di svolta, di rinascita. Un miraggio spagnolo. La storia è tutta qui. La forza del libro è l’agghiacciante e spaventosa normalità, la sua sconcertante piattezza, che, inevitabilmente, non si presta a grandi eventi, scene inattese, fatti sorprendenti. Non succede mai niente, tutto è eternamente monotono, dai personaggi alla loro vita. Questo è il vero colpo di scena del libro.

Il linguaggio non delude di certo i filowelshani, fin dalla prima parola che dà inizio al libro: «’Orcalatroia». Parolacce, insulti, organi sessuali ovunque, una grammatica deforme e caricaturale. Welsh al cento per cento, delirante e rigoroso nel trasmettere la realtà linguistica e comunicativa dei suoi personaggi, ora triste ora divertente, e del contesto ambientale in cui recitano la loro vita, tragica e pietosa.

La traduzione di Massimo Bocchiola è egregia, sembra di leggere Welsh in lingua originale (di per sé un’impresa per pochi). Insopportabile, invece, la trasformazione del titolo originale “Kingdom of Fife” in “Una testa mozzata”, che ne guasta il senso e la percezione. Ma questa è un’altra storia.

Emanuele Cimatti

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