Anche i poeti uccidono



victor gischler
Anche i poeti uccidono
meridiano zero
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“Sul sedile del passeggero, Reams teneva la mano sinistra a mezz’aria e la testa tra le ginocchia. Il dito medio era strettamente fasciato da una spessa benda bianca. Senza quasi prendere fiato, raccontò a Morgan l’accaduto. Si era messo a tagliare della legna con un seghetto particolarmente affilato, e aveva finito per portarsi via, per intero, metà della prima falange del dito medio.

[…]

-Non capivo più niente-, spiegò Reams. Ho visto le stelle. Non ci avevo mai creduto, a questa faccenda del vedere le stelle, ma adesso sì. Mi è parso di cadere a spirale in una buca profonda e tutta nera, di scivolare nel buio, di nuotare verso un sonno lungo e ovattato.

Sembrava qualcosa che Reams aveva letto in un romanzo di Chandler.”

(Victor Gischler, Anche i poeti uccidono, Meridiano Zero, Padova 2010, traduzione di Luca Conti, p. 149)

Essere lavoratori precari, e poeti afflitti dal blocco dello scrittore è un conto. Ritrovarsi una studentessa morta nel letto, ed essere convocati d’urgenza dal proprio superiore è un altro.
Ed è proprio questo che capita al già poco allegro Jay Morgan, ex poeta e professore di poesia a contratto alla Eastern Oklahoma University di Fumbee: reduce da quello che -a giudicare dai postumi della sbornia- deve essere stato un bel festino, si ritrova nel letto il cadavere della sua allieva Annie Walsh, e proprio nel giorno del l’appuntamento con il severo rettore Whittaker.
E, a rincorrerlo per tutto il campus, si mette la petulante Ginny Conrad, cronista per il giornale universitario. Per fortuna l’eccentrico Fred Jones, vecchio gangster e aspirante poeta, è disposto a dargli una mano per occultare il cadavere.
Ma intanto, il giovane studente nero Harold Jenks, il detective privato Deke Stubbs e la banda di balordi di Red Zachs, tutti appena arrivati in città, avvolgono i corridoi del campus in un rumoroso (e sanguinario) carosello…
Prendete uno dei futuri re del pulp, mettetegli in mano un intreccio veloce, potentemente metanarrativo, pieno di incidenti e complicazioni, aggiungete una massiccia dose di comicità, mescolate il tutto, e otterrete Anche i poeti uccidono: un romanzo folle, chiassoso, ipercinetico, sboccato, fumettistico (si veda, ad esempio, l’onomatopeico “tsk tsk” di pagina 281) a metà strada tra Lansdale e Tex Avery, e anello mancante tra Californication e Il dono di Nabokov, anche se l’autore cita Chandler, e dimostra di aver assimilato la “lezione” cinematografica dei primissimi fratelli Coen (si pensi, oltre alla tecnica utilizzata per complicare l’intreccio, ormai divenuta classica, al personaggio di Deke Stubbs, che sembra uscito dritto dritto da Blood Simple).
Un romanzo destinato a diventare un classico del genere, dunque? Probabilmente sì, ma Anche i poeti uccidono non si risolve in un puro divertimento pulp (e d’altronde non ci sarebbe alcun male).
A ben guardare, dietro la superficie leggera e volutamente scorretta (tratto principale che differenzia la poetica dell’autore da quella dell’ovvio ispiratore Lansdale), si nasconde un intreccio dai chiari risvolti formativi: accanto alla commedia degli errori, alla cronaca del tramonto di uno scrittore e della redenzione poetica di un vecchio gangster, Anche i poeti uccidono, racconta il cammino verso l’emancipazione del giovane Harold Jenks.
Un cammino che si conclude con un amaro (ben più di quanto non sembri a prima vista): “Per Jenks restava solo il mondo, senza limiti e confini” (Ivi, p. 275); ambigua perifrasi per una libertà che -secondo le parole dell’inno country Me and Bobby McGee– si manifesta nell’aver perso la grande occasione e nel “non aver più niente da perdere”.

fabrizio fulio bragoni

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