Louise Lévêque de Vilmorin, per gli amici Louise de Vilmorin (4 aprile 1902 – 26 dicembre 1969) è di quelle donne di cui si invidia molto più la vita che le opere: scrittrice e giornalista, anche prolifica, è famosa soprattutto per aver organizzato il Pot au feu, il Bollito, ovvero una serie di serate mondane domenicali nel suo Salon bleu nel castello di Verrières-le-Buisson.
Vi si ritrovavavano Alain Cuny, Pierre Bergé, René Clair, Max Ophuls, AnaÁ¯s Nin, Paul Meurisse, i pittori Jean Hugo e Bernard Buffet, i danzatori-coreografi Roland Petit e Zizi Jeanmaire, Léo Ferré e sua moglie Madeleine. Ovvero cineasti e artisti di fama.
La stessa Louise fu prima fidanzata ad Antoine de Saint-Exupéry, l’autore ipercelebrato de Il piccolo principe, e poi compagna tempestosa, fino alla morte, di André Malraux, in mezzo ci mise due mariti, tra i quali il playboy Paul Pálffy ab Erdöd, che merita una nota fosse solo per il nome.
Evelyn Waugh, che sulle donne non è affatto attendibile ma è sempre deliziosamente caustico, la definì “An egocentric maniac with the eyes of a witch”, Una maniaca egocentrica che gli occhi da strega. In effetti era oltremodo narcisa e questo le creò non pochi problemi nelle relazioni con gli uomini, a cominciare dall’attrettanto narciso Malraux.
Per questo fa bene Sellerio a ripubblicare un suo curioso volumetto: Coco Chanel.
Fu uno scontro di “titane” dell’autoreferenzialità. La grande stilista francese contava di trasformare le sue memorie in un best-seller, in America, e per questo volle una scrittrice di moda, Louise, appunto, che gliene scrivesse per benino. La Vilmorin si prestò a raccogliere le bugie di Coco e a scriverne di fatto una biografia romanzata nella speranza di fare il colpaccio economico della sua vita.
Era il 1947.
Gli editori americani snobbarono la creazione: Chanel se la prese con Louise, e Louise, in una lettera chiese perdono (“Restiamo amiche, è tutto quanto desidero…”). Coco si sarebbe poi rivolta altrove con uguale insoddisfazione e Louise avrebbe continuato la sua vita fino a fare davvero un bel colpo con un suo romanzo, I gioielli di Madame de** (Sellerio, 1993), che Max Ophüls trasformò in film, nel 1953, con Vittorio De Sica e Danielle Darrieux.
Ma perché l’incontro-scontro tra la Vilmorin e Chanel ci interessa?
Perché in effetti entrambe erano mosse dallo stesso bisogno di autonomia dagli uomini, dalla certezza (corretta) che solo con l’autonomia finanziaria si è libere davvero. Entrambe poi erano egocentriche, il che, in tempi di umiliazioni anche per grandissime donne, era un merito.
E non si fecero usare dagli uomini (cosa che invece fecero e continuano a fare anche donne eccellenti), anche se forse quelli della Vilmorin credettero il contrario. Quello che poi mi rende simpatica Louise è il suo epitaffio.
Sulla sua tomba fece scrivere soltanto: “Aiuto!”.
Sfido qualsiasi uomo celebre ad avere il coraggio e l’ironia di farlo.