Un’altra notte a Brooklyn



Lawrence Block
Un’altra notte a Brooklyn
Sellerio
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-Ehi, Khoury, non è ancora tornata, vero? – Chi parla? – Non te ne deve fregare di chi parla. Abbiamo preso tua moglie, arabo di merda. La vuoi indietro o no?» Kenan Khoury, libanese a New York, di professione trafficante di droga, sua moglie Francine la riavrà indietro. Aprirà il bagagliaio di un’auto a se la porterà via in alcuni sacchetti. L’uomo, a metà tra la sofferenza e la rabbia, si rivolge a Matthew Scudder, l’ex poliziotto nonché ex alcolista e da qualche tempo detective privato privo di licenza. In mano qualcosa in meno di qualche lieve traccia. Sa che il rapimento è avvenuto con un furgone, che gli aguzzini hanno chiamato Khoury da un telefono pubblico e pochissimo altro. Fine. Da leccarsi le dita no? Scudder si mette in moto e viene a sapere che la giovane è solo l’ennesima vittima di una banda di sadici che a Brooklyn si diverte a godere dentro le donne come preliminare e poi a esplodere nel pieno orgasmo facendole a pezzi e imbevendosi in immersione totale del loro panico. Delitti che però non hanno mosso praticamente nessuno, spesso neanche i mass media. Che ci vuole di più in questi casi? Esperienza? Intuito? Logica? No, meglio mettere su una squadra di giovani amici che sappia cavare oro dalle rape. Due hacker che aprono ogni porta informatica, un ragazzo che conosce ogni crepa dei marciapiedi di Brooklyn e poi Eleaine, la fidanzata che fa il mestiere (quel mestiere). Se poi il narcotrafficante e suo fratello vogliono essere della partita meglio ancora. Anche perché dal buio emerge presto un nuovo caso, se possibile ancora più tremendo. Nella scia del più prezioso e tradizionale filone poliziesco americano, Lawrence Block ci consegna un nuovo caso del suo investigatore. Un’altra notte a Brooklyn (finalmente un titolo italiano ben migliore di quello originale che tradotto più o meno suona: A spasso tra le lapidi) vive sul filo del pathos creato dal caso, ma non si esaurisce nella pura caccia all’uomo con avvicinamenti costanti e rovesci della sorte. Il racconto, duro, sanguinante, privo del timore di prendere fiamma dalla brutalità delle azioni umane in onore di un hard-boiled che gli autori americani (evviva) non hanno mai sopito, si carica della capacità di rendere materia viva l’odore di New York e di quel suo cuore pulsante chiamato Brooklyn, all’epoca della storia (ambientata nei primi anni Novanta) teatro ben più pericoloso del gioiello che è oggi. Impareggiabile il ritmo, folgoranti i dialoghi, dotati di spessa cornice psicologica i personaggi. Tutta tradizione. Ma come può esserla la tazza di caffè che ci sta di fronte alle quattro del mattino in un locale del Village. La nostra insonnia ci porta sempre lì. Ma ogni tazza continua ad avere il suo perché.

Corrado Ori Tanzi

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