Un viaggio dentro se stesso. Nel proprio corpo, provato da una operazione per un carcinoma prostatico, rivelatasi inutile, nei sentimenti che riemergono improvvisi e prepotenti da una vecchia foto con l’immagine dell’unico latitante che gli è sfuggito: suo padre. In “Scritto sulla sabbia – L’ultima indagine di Gori Misticò” (Bompiani editore) Fausto Vitaliano continua a scavare nel suo personaggio, come se stesse eseguendo un esame endoscopico, fisico e psicologico. L’ex maresciallo dei carabinieri che, dopo una vita vissuta da infiltrato in operazioni antiterrorismo, si è ritirato a San Telesforo Jonico, in Calabria, nel paese della sua giovinezza, procede nel suo personale calvario, fatto di medicine, di un corpo che perde colpi, di dolori a volte insopportabili, ma anche della ricerca di un ricordo: suo padre e sua madre insieme con lui in una giornata ad una sorta di Disneyland in salsa calabra, l’unico vissuto da tutti e tre e documentato da una foto.
Misticò vorrebbe lasciarsi andare, smetterla di combattere una battaglia che sente persa, ma ci sono tasselli da mettere a posto, a cominciare dalla sua storia personale, per continuare con la vicenda di una donna anziana, trovata morta davanti alla porta della sua casa nel bosco della Papalùta. Quella stessa casa dove, quando lui era bambino, si diceva che abitasse una strega, che aveva rapito due bambini. Peccato che la donna ritrovata morta risultasse deceduta vent’anni prima. Un autentico rompicapo che sta facendo perdere il sonno (e la fidanzata, ma questa è un’altra storia nelle storie) al brigadiere Costantino suo ex sottoposto ed erede al comando della stazione. Un misterioso personaggio lo minaccia: un tardivo vendicatore dei gruppi terroristici in cui si era infiltrato tanti anni e tante vite fa? E poi c’è quell’invito a provare una specie di “volo dell’angelo”, una linea di volo su un cavo di acciaio teso dalle montagne al mare per 5 chilometri, che gli ha fatto una strana ragazza alla quale ha dato un passaggio in auto.
Insomma, ce ne sono di cose da sistemare prima di salutare tutti. Ah, anche perché di darla vinta alla malattia Gori Misticò non ne ha nessuna intenzione: deciderà lui se, quando, dove e come. O meglio, il come lo ha già scelto procurandosi un intruglio letale: “il Genio della libera scelta”. Lo userà? Si lascerà andare dandola vinta alla malattia? Interverrà un miracolo? Beh, scopritelo leggendo, perché il libro di Vitaliano merita di essere letto, con calma, quasi assaporato. Ma sappiate che la risposta a queste domande ha un’importanza relativa. Quello che importa è il percorso introspettivo che l’autore fa compiere a Misticò: un’alternanza di buio, sempre più persistente, e improvvisi bagliori vitali, che tendono a spegnersi. Accompagnato anche da figure simboliche, oniriche, che aiutano l’ex maresciallo a tracciare il suo percorso umano, a completarne il senso.
La sintesi la offre il barbiere Guido Salmastro: “Io per mio conto, quando parto mi sicùro solo che pòrti e finèstri stanno chiusi. E se il viaggio è lungo, che non ho lasciato affari da disbrigàre. Ché la verità è una sola, ossia che di penzièri, uno che parte, non ne vuole avere. Ricordi, sì. Ma penzièri, no”.
Tra un sorriso per come vanno le cose nei meandri della burocrazia delle forze dell’ordine (a proposito, divertente il vicequestore di Aosta che si chiama Manzini, sarà stato contento l’autore di Rocco Schiavone) e un’arrabbiatura per la testardaggine di Misticò che a volte sopravanza quella di un mulo, la storia scorre come nei libri precedenti di Vitaliano, scritta con la giusta dose di giallo e di mistero, con un pizzico di soprannaturale. Una storia un po’ più malinconica delle precedenti, ma più intrisa di umanità, di riflessioni sul cammino che ognuno di noi compie nella propria vita: “La strada si compone mentre cammini. Fai il primo passo e già un pezzetto si è formato”.