Di Rec, il nuovo film di Jaime Balaguerò, toccherà pur parlarne. Io farei così, partirei da una torrida estate di otto anni fa quando io faccio ciò che è giusto fare mentre tutti vanno al mare; resto.
Scelgo il film in base all’aria condizionata della sala e devo dire che l’unica cosa positiva che hanno le multisale, è il freddo. Un freddo tombale, da ragnatele, un quasi aldilà. Un freddo che ti fa dimenticare che esse sono in realtà il garage dell’inferno dove chiunque non intenda vedere un film può recarsi per impedire che altri ci riescano. Il film era Nameless l’esordio di Balaguerò. Non dovevo scriverne o parlarne, era per “divertimento”. Io odio la Spagna; troppi colori, troppe nacchere, troppa gente festante, troppo tardi l’orario della cena, troppo caldo, troppo Almodovar. Eppure proprio dalla Spagna arrivava un piccolo gioiellino horror che mi aveva colpito e di cui avevo scritto con entusiasmo quasi sospetto. Si trattava di Tesis di Amenàbar. Era giovane, a tratti ingenuo, ma era anche nitidamente “infame” e “fetido”. Puzzava di morte, Dio lo benedica, c’era “qualcosa” in quel film. Ebbene ritrovai quel “qualcosa” (con più eleganza) nell’esordio di Balaguerò, quel Nameless che ci inchiodò alla perfetta infamia dei bambini. Ne parleremo, in tre puntate, nel nostro piccolo tour spagnolo attorno all’horror.
Rec è un film moderno. Il genere, vi parrà scandaloso dirlo, conta poco.
Il fatto è che il nuovo film di Balaguerò è quanto di più contemporaneo e all’avanguardia sia visibile sul grande schermo e l’uso della telecamera (non fissa) ed il perenne “effetto Dogma” (o “mal di mare” per chi preferisce) parrebbe esserne lo stigma principale.
Ma non è qua che Rec funziona, anzi, vi facciamo una domanda: che ne sarebbe della paura che proviamo intravedendo un volto insanguinato nel buio se quel volto avessimo il tempo di tenerlo fermo e metterlo a fuoco? Quanto resisterebbe, percepita l’immagine, la paura nel nostro cervello?
Quanto impiega l’orrore a diventare “domestico”? Balaguerò è bravo anche perché è furbo. Sa giocare. Ma torniamo a noi, un film moderno dicevamo perché pone temi e offre situazioni che si innescano perfettamente nella contemporaneità. La storia parte da uno dei mille reality televisivi (al tv spagnola è un puttanaio quasi all’altezza della nostra) nel quale una troupe televisiva seguirà una notte in “strada” del pronto intervento dei pompieri. Una graziosa conduttrice sorride e scherza senza sapere ancora quello che la attende. Giocano col pericolo, e lo “trasmettono”.
I pompieri infatti vengono chiamati per un intervento in uno stabile nel quale succedono cose strane. Oh, le cose “strane” sono quelle degli horror; gente che impazzisce, gente che ti vuole scannare, tu che provi a evitare tutto questo. Il fatto è che il “mondo esterno” decide che per risolvere il problema di quel condominio e capire perché gli inquilini stanno impazzendo uno alla volta e scannandosi l’un l’altro, la cosa migliore da fare sia quella di sigillarli tutti lì dentro (condomini, pompieri e troupe tv) ed aspettare che se la “sbrighino” da soli.
Se poi ci restano, quello è un dettaglio.
Esattamente quello che, fuori dalla metafora del regista spagnolo, sta accadendo a tutti noi.
Ogni giorno.
Chiusi dentro.