Alex Connor, in libreria con il terzo volume della sua trilogia I lupi di venezia, NewtonCompton, ha accettato di rispondere al fuoco di fila di domande di Patrizia Debicke.
Da cosa, perché e quando è nata l’avvincente trilogia dei Lupi di Venezia?
Una città gioiello, uno splendido gioiello dell’Adriatico, rumorosa e invasa da turisti sempre, ma che di notte si trasforma e diventa un’altra cosa, diversa. Il buio cela la memoria di un opulento passato di ricordi, ma conserva ancora l’eco di antichi duelli di brevi incontri tra amanti. Ogni calle che va a sboccare nell’acqua potrebbe raccontarci la sua storia , o forse l’acqua stessa pare sempre pronta a ricordare e a raccontare la sua storia.
La mia prima volta a Venezia mentre stavo in piedi sul bordo della laguna nel guardare i gradini rivestiti di muschio che scendevano fino a entrare in acqua, mi sono chiesta cosa ci fosse sotto. Sappiamo che tutta Venezia è sorretta da una miriade di pali di legno e talvolta con l’immaginazione vorremmo poter scivolare sotto la città, abbandonandoci al fluire delle maree che entrano in Laguna e poi ripartono con i loro segreti. E magari, i vecchi spiriti del passato approfittano dell’oscurità per andarsene, fuggire via attraverso la foresta di pali. E poi, quante facce, lingue, e persone di diverse fedi religiose sono passati per Piazza San Marco. Quanti artisti, pittori musicisti, poeti, scrittori tra i i più dotati, quanti personaggi di eccezionali qualità o altri intriganti e corrotti hanno cercato fortuna a Venezia? Per questo ho scritto I lupi di Venezia: per ridimensionarne il gran fascino e portare alla luce le caratteristiche del suo lato più sconosciuto e pericoloso.
Tu dai molta importanza ai legami indissolubili tra il Ghetto e Venezia. Quanto ha voluto dire per la Serenissima disporre dei servizi offerti dagli ebrei nei secoli ?
Per i Veneziani è stato un inestimabile vantaggio potersi avvalere di tutte le capacità degli ebrei nel ghetto. In genere i veneziani, sempre ben disposti a servirsi dei i migliore materiale umano a disposizione, nei confronti degli Ebrei hanno quasi sempre adottato un atteggiamento molto tollerante e li hanno accolti volentieri affidando a loro l’onere dei Banchi di pegno cittadini. Dobbiamo ai veneziani il primo ghetto ebraico in Europa. E anche gli ebrei hanno tratto il vantaggio dal poter contare su un sicuro rifugio . Usando il loro acume negli affari, i banchieri ebrei prosperarono, gli avvocati divennero famosi e i medici molto richiesti. Epperò, mentre i veneziani approfittavano dalle loro capacità, gli ebrei non erano completamente liberi. Per esempio fu istituito il coprifuoco. Chi tra loro lo ignorava , veniva multato o addirittura imprigionato. Nessun ebreo poteva uscire dal ghetto prima dell’alba e tutti dovevano tornare prima dell’oscurità, quando la campana del coprifuoco squillava sulla laguna. Erano anche obbligati a esporre sulle vesti una stella gialla o un quadrato di stoffa in giallo e le donne dovevano coprirsi la testa. La convivenza con i veneziani ebbe anche degli inconvenienti. E da quando gli ebrei furono accusati di aver avvelenato l’acqua della città, furono costretti ad avere i propri pozzi all’interno del ghetto. Ma per fortuna, visto che le loro capacità intellettuali e lavorative andavano tutte a vantaggio dei veneziani, fecero tollerare le pratica della loro religione. Ragion per cui La Serenissima, culla di opportunità e di opportunisti, divenne un rifugio sicuro per gli ebrei.
Cosa erano il Banco Rosso, Verde e Nero?
Non lo sapevo. Ho dovuto chiedere! A quanto pare erano i colori che contraddistinguevano i banchi dei pegni ebraici, che all’inizio assunsero i colori delle tre banche di Venezia: rosso, verde e nero. I Banchi dunque, che erano una specie di ibrido tra banca e banco dei pegni, restarono in funzione fino al 1797.
Già a metà 1500 la potenza di Venezia si avviava verso una lenta ma inesorabile decadenza. E tuttavia quanto contava ancora la Repubblica sul piano internazionale e perché?
Venezia voleva dire commercio. Era il mercato internazionale che andava dall’Europa all’Estremo Oriente e viceversa , dal cibo al tessuto, dall’argento al vetro. Le isole della Laguna funzionavano come porte girevoli, importando con la marea ed esportando con la corrente.
È vero che il declino della Repubblica iniziò a metà del 1500 perché Venezia perse molte delle rotte marittime commerciali. Ma come reagì la Serenissima ? Si rivolse e si appoggiò sull’innato talento dei veneziani, sulla gloria delle arti, su pittori del calibro di Tiziano, Veronese e Tintoretto, sui musicisti, gli scrittori, i drammaturghi e sull’eccellente e rinomata industria editoriale. La città si reinventò e così facendo divenne un centro di grande espansione rinascimentale.
Si parla molto di stranieri nella tua trilogia. Vanno, vengono. Quanti stranieri più o meno risiedevano a Venezia in quel periodo e perché?
Si diceva a quei tempi che una persona su tre tra quelle che vivevano a Venezia fosse straniera. Personalmente penso che potrebbe essere un’esagerazione. Sicuramente sono stati tantissimi gli stranieri che hanno visitato la città, ma poi sono ripartiti. E quelli che poi si sono trasferiti a vivere a Venezia, facevano un po’ di tutto : c’erano argentieri dall’Olanda, falegnami dall’Inghilterra e centinaia di artisti da tutta l’Europa, Germania in particolare. Tutti in lizza per diventare apprendisti presso i grandi maestri del tempo e venuti a cercare fortuna a Venezia. Perché se riuscivano a ottenere il patrocinio della nobiltà o del Doge, la loro fama era fatta – sia nella Repubblica che altrove. E la fama portava guadagni …
Per quanto riguarda poi altri mestieri, diverse cortigiane straniere, erano regolarmente registrate tra le 10.000 degli elenchi cittadini. Coloro che non ce la facevano, e furono in tanti finiti a zero, senza nemmeno i soldi per pagarsi un viaggio di ritorno in patria, costretti a cercare rifugio nelle chiese e nei monasteri o peggio a dormire sotto le bancarelle o a prostituirsi. E altri a volgersi al crimine …..
Hai colto la peggiore immagine di Pietro l’Aretino: grottesca ed esecrabile. E tuttavia agente, amico e sempre gradito ospite di Tiziano. Forse tuttavia a ben guardare la loro fu vera amicizia. Si potrebbe dire che Tiziano sia stato l’unico vero amico dell’Aretino?
Pietro Aretino è un personaggio ripugnante. Ho provato a trovare qualcosa di buono in lui e ho letto le sue opere – illuminanti nella loro oscenità – ma per me tutto in lui appare distruttivo, brutale e talmente insensibile da convincermi che fosse davvero malvagio.
Trattava le persone con alterigia. Ha perseguitato senza pieta sia I ricchi che i poveri. Non gli importava chi fosse la sua vittima, perché era un bullo e i bulli trovano solo gratificazione, intimidendo chiunque.
Il suo rapporto con Tiziano è interessante e l’ho studiato a lungo prima di trovare una risposta.
Alla fine ho deciso che Tiziano era un genio, ma una persona fredda, distaccata, un ambizioso, probabilmente solo interessato al proprio status. E credo che solo indirettamente attraverso Aretino, abbia condiviso qualcosa che lui, non aveva. Un’essenza fatta di bassezza e volgarità ma anche di arguzia e temerarietà. Pigrizia?
Forse la differenza tra loro è spiegata dallo stesso Aretino, che una volta disse di lui ‘ Tiziano ha sempre bellissime donne intorno a lui eppure non fa nulla…’
Nel creare l’immagine dei Lupi hai voluto simboleggiare la dilagante e incontrollabile corruzione di Venezia? L’orrido fascino del male?
“L’orrido fascino del male.” Così vero, chi non trova intrigante la pura malvagità? Ci spaventa, soffoca, ma ci mostra di cosa sia capace l’umanità. Quello che temiamo ma con cui siamo costretti a confrontarci e così leggiamo di assassini, cattivi, ricattatori, torturatori – forse nella speranza che leggendo su di loro si possa diluire in qualche modo il loro potere. E se ci fanno orrore possiamo consolarci pensando che sono solo inventati, immaginari.
Ma il male non è immaginario e in I LUPI DI VENEZIA ho voluto mostrare il rovescio della medaglia: come quella corruzione e logorio dell’anima che il potere e l’infamia possono indurre in chi è troppo debole per resistere, o troppo svilito per respingerlo.
Una città in cui un nulla poteva condannarti e farti finire nei piombi. A cosa servivano le famose cassette (o cassete de le denoncie segrete) che citi in Venezia Enigma?
Questi erano i famigerati dispositivi con cui qualcuno poteva accusare anonimamente una persona di un crimine. Se quel crimine era adulterio, furto o omicidio. Erano molto temuti perché i ricchi potevano difendersi – anche se magari l’accusa scatenava i pettegolezzi – ma i poveri soffrivano e, in alcuni casi, venivano imprigionati per puro atto doloso di un anonimo accusatore.
Per lo splendido personaggio di Caterina Zucca hai pensato a Veronica Franco?
In realtà no! Caterina Zucca era una fusione di tutte le cortigiane di Venezia. Come la Franco, non era una normale prostituta che camminava per le strade, ma una cortigiana di alto rango, molto ammirata.
Era intellettualmente dotata, parlava molte lingue ed era perspicace, la perfetta accompagnatrice per i gentiluomini che volevano una bella donna che fosse anche colta. Spesso ohimè alcune cortigiane, come Caterina, arrivavano a Venezia a quattordici o quindici anni, senza famiglia e senza mezzi per guadagnarsi da vivere. Lei era stata favorita dalla sorte perché aveva avuto un protettore che l’aveva mantenuta per anni. Altre, invece meno fortunate di lei, spesso si ritrovavano maltrattate e messe da parte quando la loro bellezza svaniva.
E ora tre domande a Alex Connor esperta di pittura.
Mi pare che tu preferisca Tintoretto e il suo piccolo palcoscenico con immaginifiche stupende statuine di cera al grande Maestro Tiziano, nonostante la sua “officina di immagini” e l’incanto paesaggistico del suo Biri Grando? Sbaglio?
No, mi piacciono molto entrambi! Certo sono affascinata dai teatrini che Tintoretto creava per progettare le sue opere monumentali – spesso di dimensioni maggiori rispetto a quelle di Tiziano – ma ammiro anche la ricchezza delle opere di Tiziano. 3Secondo me Tiziano è forse il più grande ritrattista, ma per bravura penso che Tintoretto sia superiore. La spinta emotiva del suo slancio – ovvia nella sua tecnica e nelle pennellate – la sua dimensione e la sua umanità non hanno eguali. Ha una meravigliosa essenza terrena, un’empatia che talvolta manca ai dipinti di Tiziano.
Tuttavia negli ultimi anni di Tiziano, quando il suo stile pittorico divenne più libero, i suoi dipinti religiosi hanno un’intensità quasi intollerabile. Era perché si stava avvicinando alla morte? E dunque la fede religiosa esasperata? La poca vista! Chi lo sa? Un mistero che ogni spettatore dovrà scoprire da solo.
Tintoretto e Tiziano erano due giganti, due grandi maestri, entrambi geni a pieno titolo.
A chi era in mano il mercato dei quadri a Venezia nel 1500?
I mecenati governavano i mercati della pittura. E gli agenti, come Pietro Aretino. È vero che la carriera di Tiziano è stata molto favorita dall’appoggio dell’ Aretino. Lo scrittore si recava presso le corti d’Europa e faceva appello ai sovrani per promuovere il lavoro del suo amico; sia per aumentare il proprio status che per appoggiare Tiziano. Poi l’Aretino prosperava di gloria riflessa.
I mecenati veneziani che finanziavano il mercato delle pittura , erano per lo più gli aristocratici, con il Doge in testa e, naturalmente, la chiesa. Un pittore a Venezia non poteva avere successo senza le commissioni del clero. Perché queste splendide opere religiose permanentemente “in mostra” presso le congregazioni religiose – ricche o povere che fossero – fungevano da vetrine per pubblicizzare il talento di un artista.
Mi incuriosisce Giorgio Gabal il piccolo allievo di Tintoretto. Non mi risulta tuttavia che ci sia mai stato un famoso pittore veneziano ebreo? Oppure?
Ah, il piccolo Giorgio Gabal! Mi piacerebbe dirti che esisteva, ma è esistito solo nella mia immaginazione! Volevo creare un personaggio che finalmente riscattasse Marco Gianetti e mi sembrava giusto che fosse un giovane pittore ma anche un ebreo.
E per finire, qual è a tuo vedere il personaggio, buono o cattivo, più significativo di Venezia enigma?
L’olandese, Nathaniel der Witt. È sempre intrigante. Un personaggio che pare vero, fatto di carne e sangue, uno di quelli che si fanno largo da soli mentre scrivi. Mi affascina per la sua ostinata determinazione, il suo coraggio e la sua impulsiva devozione, e benché sia riservato e solitario, mostrava grande nobiltà. A volte il suo atteggiamento potrebbe farlo apparire troppo distaccato, ma a conti fatti è logico per un uomo con ormai un unico scopo nella vita: scoprire chi ha ucciso sua figlia. Per me, Nathaniel der Witt rappresenta l’essenza dell’amore incondizionato.
MilanoNera ringrazia Alex Connor e NewtonCompton per la disponibilità