Benvenuto, comandante Edgar Mendieta, detto Zurdo (il Mancino), della polizia messicana.
Dici Messico e pensi subito ai narcos, ai cartelli della droga che fanno il bello e il cattivo tempo dalle parti di Culiacán (e non solo). Come quello del “famigerato Valdés” un omino anziano e malato, che ha poteri di vita e di morte.
Si parte con il cadavere di Bruno Canizales, avvocato, una pallottola d’argento in testa. No, niente licantropi. Nella vita di Mendieta ce ne sono già troppi, di mostri (come quel prete, che da bambino…)
Invischiato in un’indagine che il potere vuol vedere archiviata (il padre del morto sta per candidarsi a un’alta carica politica, con il sostegno di Valdés) lo Zurdo dovrà destreggiarsi tra amanti deluse, poliziotti pronti a chiudere gli occhi, un medico legale assatanato, la figlia bisex di Valdés e gli AK-47 dei suoi gorilla. E una donna dal profumo ammaliante, che sa esercitare una seduzione mortale. Un cellulare ossessivo con la tromba della cavalleria, altri cadaveri che si aggiungono al primo… Poi, Mendieta si imbatterà in una verità sgradevole, anche per lui, e lascerà che una giustizia sui generis celebri un macabro trionfo.
Colori, odori, cibo e alcol e un paese dove ogni regola è stravolta, per un buon noir nevrotico e nervoso (grazie anche a Pino Cacucci), in cui la scelta di non marcare graficamente il discorso diretto, lo spostamento del punto di vista e il frequente ricorso all’introspezione, rischiano talora di confondere il lettore distratto.