L’avvoltoio



Giuseppe Petrarca,
L’avvoltoio
Homo scrivens
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La definizione di medical thriller che certa critica ha invocato per l’ultimo romanzo di Giuseppe Petrarca, L’avvoltoio , mi pare francamente riduttiva. Quanti mi conoscono sanno che non amo le gabbie di genere, buone per editori furbetti e lettori insicuri. In questo caso specialmente. L’avvoltoio infatti colpisce con il pugno duro della denuncia sociale, che arriva forte e netta ben oltre la confezione del racconto in veste di fiction. L’autore, che da sempre dedica vita e scrittura all’impegno umanitario, prova ne sia la sua collaborazione con Medici senza frontiere, dopo Inchiostro rosso (Graus Editore, Collana Tracce, 2014), con cui puntava il dito contro il malaffare delle multinazionali farmaceutiche, e Corpi senza storia (Homo scrivens, Collana Dieci, 2016), che conduceva il lettore attraverso l’inferno bianco degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, affronta qui il tema sconfinato degli immigrati clandestini, che recano “sulla loro pelle di salsedine i segni di un lungo calvario”, corpi senza valore che non possiedono nemmeno il diritto di vivere, buoni semmai per un bieco commercio di organi. Il suo protagonista seriale, il commissario Cosimo Lombardo qui alla sua terza indagine, abbandonata la sede di Quarto Oggiaro per un necessario congedo sabbatico, incrocia nella natia Catania una vicenda terribile che si abbatte sui rifugiati di un locale Centro di Accoglienza per Rifugiati richiedenti Asilo (CARA). Chiamato a collaborare dall’amico questore Filippo Nicosia, in virtù dell’esperienza maturata nelle precedenti indagini in ambito sanitario, il commissario Lombardo dovrà fronteggiare un’epidemia da Pseudomonas aeruginosa, letale quanto le famigerate febbri emorragiche, scoppiata tra gli immigrati del CARA e presto diffusasi anche tra gli operatori del centro. L’origine del temibile batterio è assai dubbia e il contagio potrebbe essersi verificato ancora in suolo africano, prima della partenza per l’Italia, o in terra già siciliana, addirittura durante un ricovero ospedaliero. L’interrogativo è inquietante e incrocia per di più un’altra macabra scoperta, l’omicidio di alcuni rifugiati per il prelievo illegale di organi. Per poter venire a capo di un’indagine che metterà a dura prova sensibilità e senso di giustizia, Cosimo Lombardo dovrà muoversi tra un’umanità privata di qualunque decenza e medici assassini, che snaturano la loro missione in virtù di biechi guadagni.
L’avvoltoio mette in scena drammatici contrasti, e lo fa con impatto innegabile.  In primis, la figura dell’Avvoltoio che compie “l’atto ferale contrapposto all’eleganza di un tocco meticoloso ed esperto”, emblema qui non di un solo carnefice ma di un’intera categoria di medici senza scrupoli, capaci di immolare la sacralità della loro professione a un’avidità cieca e spietata.  A lui, a loro, si oppone Cosimo Lombardo che patisce sulla sua pelle gli effetti di quella crudeltà, cui mancano addirittura il fiato e le forze mentre si addentra tra i miasmi del degrado sociale. Eppure non si ferma ed è proprio la sua empatia, che tuttavia lo rende debole e quasi inerme davanti all’ingiustizia e alla furia della violenza, a rivelarsi la sua arma migliore, lui paladino degli ultimi, persecutore dei carnefici.
Davanti alla tragedia che si consuma tra le sue rive, il mare stesso, quel Mediterraneo da sempre ponte tra culture diverse, diventa “barriera mortale” contro la nostra paura più profonda, quella che “respingendo gli immigrati, [ci illude] di respingere il malessere che attraversa la nostra società”.
Giuseppe Petrarca ci attrae in una Sicilia dall’anima duplice: da una parte colori e sapori inebrianti, dei suoi paesaggi e delle sue tradizioni, dall’altra malvagio esercizio del potere, malaffare, disumanizzazione.
E lo fa con lessico accorato ed enfatico, che non vuole e non può prendere le distanze dalla materia narrata. Respira di empatia, quel lessico, di un sentimento partecipativo, di una volontà di servizio in favore degli altri che attraversa le pagine di altri scrittori partenopei, di Maurizio de Giovanni in primis, il quale non a caso, in quarta di copertina, ha affermato che Giuseppe Petrarca “ha tantissime cose importanti da raccontare”.

 

 

Giusy Giulianini

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