La sentenza – Christina Dalcher



Christina Dalcher
La sentenza
Editrice Nord
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Dopo “Vox”, il suo primo romanzo distopico che ricorda un po’ “Il racconto dell’ancella” per il tema trattato, Christina Dalcher questa volta ci parla di giustizia, e non solo, proponendoci il suo nuovo romanzo La sentenza.

Iniziamo col conoscere Justine Boucher Callaghan, una procuratrice, una madre, una vedova. Una donna che ha sempre dedicato il suo tempo e le sue energie a contrastare gli errori giudiziari, considerando valida e priva di difetti una legge così rigida da prevedere la pena capitale per chi condanni a morte ingiustamente delle persone innocenti, il Remedies Act. 

“Occhio per occhio. Dente per dente. Livido per livido. Vita per vita. 

Quando la stessa Justine si trova a condannare alla sedia elettrica Jake Milford per aver ucciso Caleb Church, il bambino di sette anni dei suoi vicini di casa, non ha dubbi sulla sua colpevolezza. L’uomo è senza alibi ed è stato visto quella stessa mattina vicino al bambino: ci sono cause intricate e cause così semplici. Jake è colpevole e va giustiziato, fine. 

Ma il caso Milford non verrà chiuso, o meglio, accadrà formalmente, ma quando la moglie del condannato troverà un piccolo indizio, un pezzo di carta, il mondo e le convinzioni di Justine inizieranno a traballare, le sue certezze cominceranno pian piano ad incrinarsi in quel perfetto congegno che secondo lei è la giustizia. 

“Non hanno idea di quanto gli errori siano frequenti: ogni anno, in media, vengono prosciolti quattro detenuti nel braccio della morte.”

“Ho trovato un pezzo di carta”: dietro queste sei parole c’è tutto e non c’è niente. È da questa frase che il romanzo inizia ad entrare nel vivo della trama. Justine è sconvolta, inizia a mancarle la terra sotto i piedi. E se quell’indizio scagionasse Jake Milford? L’uomo ormai è bruciato sulla sedia e a fronte del Remedies Act, la prossima persona a friggere dovrebbe essere proprio lei. 

Justine inizierà quindi a sentirsi colpevole di aver fatto un errore di valutazione e, in forza di questo sentimento, non potrà fare a meno di indagare su quale sia la verità. Conoscerà così gli altri protagonisti  di questa storia, dalla moglie di Jake a suo fratello, e scoprirà che la realtà è molto più complicata di quanto inizialmente era parsa. 

Il personaggio di Justine è molto complesso e quando inizierà ad indagare meglio sulla morte di Caleb Church, si renderà conto che la legge che lei ha sempre difeso a spada tratta le si sta ritorcendo contro e la porterà a mettere in discussione sia il caso che, soprattutto, se stessa. Riuscirà a fare la cosa giusta senza pagare un prezzo troppo alto oppure si dovrà arrendere?

“Comunque sia, non ho mantenuto la promessa. L’ho infranta quando ho spedito Jake Milford nel braccio della morte. L’ho infranta quando ho chiuso la porta dei miei principi morali e ho aperto quella dell’arbitrarietà.”

Con uno stile narrativo ineccepibile, Christina Dalcher costruisce una trama dal ritmo serrato e dall’intreccio che trasuda tensione e che porta il lettore, un colpo di scena dopo l’altro, a domandarsi chi sia, alla fine, il vero colpevole in questa storia. 

L’autrice sceglie di costruire il suo romanzo componendolo in capitoli piuttosto brevi che rendono così la lettura, seppur grave nei contenuti, leggera e scorrevole. È molto ingegnoso il modo di inserire nell’esposizione del racconto i capitoli narrati dal Detenuto del braccio della morte n. 39384, in modo da svelare pian piano il suo punto di vista e riuscendo a commuovere il lettore.

La sentenza, oltre ad essere un vero e proprio thriller psicologico e giudiziario, è un romanzo ricco di diversi argomenti importanti e di spunti di riflessione. Innanzitutto è una storia che può dividere, sull’essere favorevoli o meno alla pena di morte e, ancora di più, sul Remedies Act. Si riflette poi sul funzionamento della giustizia, chiedendosi inevitabilmente se è sempre legittima.

In ultimo, ma non certo per importanza, è doveroso mettere l’accento su ciò che, a parere di chi scrive, è uno dei fulcri su cui gira la trama di questo romanzo. La Dalcher, attraverso la sua scrittura sempre molto limpida e consapevole, ci sbatterà in faccia anche il tema della violenza sulle donne descrivendo Kris, il fratello del condannato. 

“Prima ho detto che non era la prima volta che Kris picchiava Mary Ann. La prima volta era stata durante la loro prima notte di nozze, quando dopo essersi sbronzato con una cassa di champagne da quattro soldi mio fratello si era infuriato perché lei non aveva chiuso bene il rubinetto del bagno dell’albergo. Provate a immaginare di picchiare vostra moglie per un rubinetto.”

Ancora: “Ovviamente ripeteva la solita cantilena che tutti i mariti che picchiano le mogli ripetono. La mattina era dispiaciutissimo, le prometteva che non l’avrebbe rifatto mai più e le diceva che l’amava più di ogni altra cosa al mondo. Era furbo. Non le ha mai fatto abbastanza male da spedirla in ospedale. Quanto bastava per tenerla in riga, come diceva lui”.

E ancora: “Kris era sempre stato una specie di camaleonte. Se giocava a biliardo, si arrotolava le maniche della maglietta per mostrare muscoli e tatuaggi. Se voleva sedurre una ragazza, faceva gli occhi dolci e si muoveva in modo sensuale. Era in grado di sembrare debole, duro, arrabbiato o buono”.

Tenuto conto anche degli atroci casi di femminicidio italiani non si può fare a meno di mettere in luce e dare importanza anche a questo tema trattato nel romanzo e che, oggi più che mai, è uno dei più mostruosi cancri dell’umanità.

Erika Giliberto

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