Feltrinelli ha pubblicato un romanzo di Yukio Mishima sinora inedito in Italia: “La scuola della carne”, un’opera che risale al 1963 e descrive la “relazione pericolosa” tra Taeko, donna matura, benestante ed emancipata nel Giappone del secondo dopoguerra, e Senkichi, bellissimo ventenne conosciuto allo Hyacinthe, un locale gay di Tokyo. Sin dal primo incontro Taeko rimane folgorata dalla carica erotica e selvaggia di Senkichi e con lui instaura un’ambigua relazione sempre condotta sul filo del rasoio: tra l’opportunismo del giovane, il prepotente desiderio carnale che fiorisce in una donna che si credeva equilibrata, la gelosia crescente per un ragazzo sul quale convergono coni d’ombra e sfumature misteriose. Il rapporto passionale procede in equilibrio instabile tra eros e thanatos (“Sarebbe stato magnifico, quella notte, seguire Senkichi in un doppio suicidio d’amore!”) e se nella prima fase prevale la passione ingovernabile di Taeko, ben presto e in modo strisciante l’immagine attraente della morte (“Per la prima volta, il pensiero della morte accompagnò intensamente l’unione dei loro corpi”) intride i sensi (“Il profumo dei capelli del ragazzo, che Taeko annusava con passione, si legò inevitabilmente a un’immagine di morte”), s’insinua e mina la tensione magnetica di incontri (“Nel legame della carne con la carne, l’apparizione di un mondo privo d’angoscia creava, riflettendoci, una situazione di per sé angosciante”) che si orientano verso un drammatico epilogo (“Si afferravano saldamente i capelli a vicenda, guardandosi fissi negli occhi, come sul punto di precipitare”). La morte è un intendimento facilmente attuabile (“… ebbe la sensazione di poterlo uccidere con estrema facilità”), un punto d’arrivo che sembra inevitabile (“è una di quelle carte distruttive che si scoprono per il finale”), un gioco ambivalente (“Taeko aveva visto la minaccia negli occhi di Senkichi: quella sera aveva probabilmente preparato ogni cosa per ucciderla”) che provoca e stimola i due amanti. Leggendo queste pagine intinte nell’inchiostro nero del pericolo mortale, è inevitabile ripensare alla tragica fine di Mishima, che concluse la sua vita nel 1970 con un suicidio spettacolare. Perché anche ne “La scuola della carne” la morte è abbozzata come forza oscura seducente: la stessa che – rispetto a quanto accade in questo romanzo – agì nella biografia dello scrittore in modo amplificato, nella forma estrema e cruenta del suicidio rituale (il seppuku, l’autosventramento).
La scuola della carne
Bruno Elpis