Chi non ha mai preso parte a ‘u fistinu di Santa Rosalia a luglio a Palermo, o alla festa di Sant’Agata a Catania, a febbraio, non ha idea della fiumana umana che in quei giorni invade le vie del centro delle due principali città isolane per devozione alle santuzze protettrici delle umane miserie.
Ma è proprio da qui che bisogna partire per raccontare l’incipit di questa nuova avventura del vice questore Vanina Garrasi, la sbirra tutta d’un pezzo, palermitana di origine, tosta e determinata, amante della buona cucina e dei film d’antan, che abbiamo conosciuto al suo esordio con Sabbia nera e da quella prima indagine, che la portò a risolvere un cold case, è diventata un personaggio amatissimo dal pubblico. Giunta alla sua sesta indagine a Catania, la città etnea dove vive e opera, col suo corollario di personaggi a farle da spalla, Vanina riconferma la propria verve e il suo intuito e il pubblico ricambia con affezione la devozione della propria beniamina alla ricerca di una giustizia che non sia solo ideale ma anche terrena e concreta.
Come dicevamo, la festa di Sant’Agata è tra le più belle e partecipate al mondo. In quei tre giorni, dal 3 al 5 febbraio, Catania dimentica ogni cosa e si concentra sulla festa che richiama ogni anno sino a un milione di persone tra curiosi e devoti. Il primo giorno è riservato alle candelore, un’usanza popolare vuole che i ceri donati debbano essere alti o pesanti quanto la persona che chiede la protezione. Alla processione per la raccolta della cera, partecipano le maggiori autorità religiose, civili e militari. Due carrozze settecentesche, che un tempo appartenevano al Senato che governava la città, e undici candelore, vengono portate in corteo.
Ed è proprio su una di queste carrozze custodite nell’androne del Palazzo degli Elefanti, antistante la Cattedrale, dove sono custodite le reliquie di Sant’Agata in Piazza Duomo (celebre per il suo elefantino), che due studentesse francesi, universitarie arrivate a Catania col progetto Erasmus, scoprono il cadavere di un uomo colpito tra collo e guancia con un’arma da taglio. Sangue e morte su una delle carrozze del Senato che Vaniva da buona palermitana continuerà impropriamente a definire la carrozza della santa, da cui il titolo del romanzo, e sarà puntualmente corretta dai catanesi, in un gioco di rimandi anche nelle diverse forme del linguaggio che dà ulteriore verve ai siparietti tra i personaggi.
È il sindaco di Catania in persona che chiede a Vanina di occuparsi delle indagini che, per dinamica, location e temporalità, gettano una luce fosca sulla stessa amministrazione cittadina e finanche sulla stessa veneratissima e amatissima Patrona, con un quell’atto di sangue che risuona quasi come una blasfemia. La vittima è il maturo Vasco Nocera, catanese, classe 1946, ricco possidente con proprietà anche fuori Catania. Non ha mai avuto bisogno di lavorare per vivere e non ha nessun precedente di rilievo. Mezzo secolo prima era rimasto coinvolto in un incidente stradale, una donna era morta, c’era stata anche una denuncia per omicidio colposo, poi ritirata. Proprio da quell’incidente da cui Nocera era uscito senza un graffio aveva avuto origine la sua totale devozione a Sant’Agata che onorava tutti gli anni seguendola tutti e tre i giorni della festa, dal 3 al 5 febbraio. Sposato e padre di due figli, Giordano, agronomo, e Agata, commercialista, a sua volta sposata con un commercialista, il quadro familiare della vittima sembra un normalissimo quadro di media borghesia, ma Vanina intuisce che Nocera aveva i suoi segreti. Come tutti. Chi l’h ucciso non sembra essere un assassino professionista e l’autopsia rivela anzi che i colpi inferti sono stati maldestri. Come l’’omicidio non fosse premeditato, ma di istinto. I contatti telefonici più frequenti del morto ammazzato chiamano in causa una cugina, un funzionario di banca in pensione e una giovane architetta, già fidanzata del figlio Giordano e l’ultima persona con cui la vittima ha parlato. E guarda caso, pure lei è scomparsa.
“Dottoressa, le coincidenze nelle indagini per omicidio non esistono, e lei ‘u sapi megghiu di mia. Perciò ccà i casi sono due: o ‘sta Sergia è l’assassina, oppure vide cu era l’assassino e si scantò. In entrambi i casi, la mattina del 6 febbraio doveva essere vicina a Nocera”.
Così un ringalluzzito Biagio Patanè, commissario in pensione, che non disdegna di carezzare con lo sguardo le tante bellezze che si incontrano a Catania. Mentre Vanina è impegnata in questa indagine, da Palermo arriva la notizia bomba che Salvatore Fratta, detto Bazzuca, l’ultimo assassino coinvolto nell’omicidio del padre a essere rimasto latitante, potrebbe essere stato intercettato. E il contributo di Vanina, che non ha mai creduto alla storia del capomafia morto carbonizzato nel 2008, sarebbe decisivo per farlo uscire allo scoperto e acchiapparlo. Ma anche pericoloso. E quindi…
Un romanzo che si legge con leggerezza, nel senso calviniano del termine. Una protagonista ormai entrata nel cuore dei lettori e una location meravigliosa, Catania, coi suoi profumi, i sapori, i colori e il cuore stesso della città, ribollente e magmatico come la lava da muntagna, così i catanesi chiamano l’Etna che non può che fare innamorare i lettori di un altro pezzo di Sicilia tutto da scoprire e gustare.