Ben Pastor è un’autrice di gialli piuttosto conosciuta in Italia, benché il suo nome non abbia la risonanza di Fred Vargas o dei più famosi giallisti scandinavi. Il genere da lei preferibilmente trattato è quello del giallo storico e la sua creatura più celebre è il capitano Martin Bora, ufficiale della Wehrmacht, aristocratico colto e raffinato, per la cui descrizione la stessa autrice ha affermato di essersi ispirata al colonnello Claus von Stauffenberg, autore dell’attentato a Hitler del 20 luglio 1944. In Kaputt Mundi troviamo Martin Bora a Roma, durante l’occupazione tedesca, che indaga con l’ispettore Guidi sul caso di Magda Reiner, giovane impiegata di ambasciata scagliata dal quarto piano dell’edificio in cui risiedeva. Accanto alle vicende di fantasia e a personaggi creati dalla Pastor, si muovono figure storiche: il colonnello Dollmann, cinico e impenetrabile, il colonnello Kappler, l’autore della rappresaglia di via Rasella, rozzo e bestiale, il feldmaresciallo Kesserling, responsabile del fronte italiano. Mentre Bora e Guidi indagano alla ricerca dell’assassino di Magda, Roma vive i suoi giorni più torbidi e angosciosi: l’attentato dei partigiani in via Rasella contro un reparto delle forze d’occupazione tedesche e il conseguente eccidio, per rappresaglia, di 335 tra civili e militari italiani alle Fosse Ardeatine, che neanche l’intervento riservato del Vaticano riuscirà, se non a impedire, almeno a limitare. Pastor, forse ricordando la lezione di Joseph Roth, sceglie di presentare al lettore un’immane tragedia umana, in cui, pur mantenendo nitidi i giudizi della Storia, le passioni, i vizi, le ambizioni e le crudeltà sono come batteri lesti a infilarsi in ogni microscopica piaga dell’animo, deflagrando e divorandolo poi senza pietà. L’azione dei partigiani è vista soprattutto nelle sue non epiche conseguenze: se pure infligge danni quasi letali al nemico, trascina con sé l’ecatombe di centinaia di vite innocenti, immolate alla rabbia cieca di chi non vuole accettare una sconfitta incombente e definitiva.
I partigiani della Pastor non sono quelli dell’iconografia abituale, tra di loro si cela anche una spia pronta a vendere ebrei ai nazisti per finanziare la lotta: se, da un lato, l’autrice ne riconosce il coraggioso e utopico idealismo, dall’altro non nasconde il cinismo o, nel migliore dei casi, l’avventatezza delle loro azioni. C’è spazio anche per la rappresentazione della gente comune, come i Manuli, affittacamere dell’ispettore Guidi, ingenui e ligi a ogni tipo di potere, o l’ottico Sciaba, cui è dedicato il romanzo (insieme alle altre vittime delle Fosse Ardeatine), uomo onesto che si è trovato nel posto sbagliato e nel momento sbagliato, inconsapevole vittima della barbarie bellica. Con maestria non disgiunta da autentica partecipazione, Pastor rappresenta la precarietà e la fatica di tante esistenze umili e quotidiane, che si dibattono tra la prepotenza e la corruzione fascista e l’ottusità e la ferocia nazista, vite che si arrabattano, ancora lontane da una coraggiosa e consapevole presa di coscienza, che, in fondo, pare dirci l’autrice, neppure i partigiani sembrano aver profondamente conseguito.
Di intenso, seppur plumbeo, impatto è l’affresco di una Roma ancora opulenta e promiscua, piena di feste e spettacoli, percorsa da militari e prostitute, eppure dolente e funerea, intessuta delle trame e degli intrighi interni alle gerarchie naziste e fasciste, con la complicità di cardinali vaticani, più affini a Richelieu che agli apostoli.
Tra queste anime erranti, degne dell’inferno dantesco, si muove Martin Bora, malinconico cavaliere di Camelot, Parsifal consapevole che il Graal è un’invenzione, eppure condannato alla sua ricerca per affermare un senso al proprio vivere.
Bora è lacerato tra l’essere un soldato leale, e infatti non esita a obbedire agli ordini di distruzione di Kesserling, e l’adesione ai superiori valori etici della sua coscienza, da cui non diserterà, cercando di sottrarre alla strage delle Ardeatine almeno l’ispettore Guidi e, invano, l’ottico Sciaba, infine uccidendo la spia partigiana, che consegnava a Kappler la lista degli ebrei nascosti da incarcerare.
Accanto a lui, un gruppo di donne segnate da un’algidità, che è a volte austera disciplina morale, come nel caso della signora Murphy, a volte animalesco cinismo di sopravvivenza, come nel caso della spia Francesca, a volte disincantata forma mentis borghese, come nel caso di Donna Maria. Colpisce che i moti più sensibili dell’animo vengano, invece, manifestati da Martin Bora, tenacemente e disperatamente legato a una moglie superficiale, che l’ha sposato per opportunismo e sensualità.
Le pagine più letterariamente valide di Kaputt Mundi sono quelle conclusive, con l’allucinata e inesorabile disfatta di nazisti e fascisti, la fuga ultima in cui emerge la vigliaccheria, che frequentemente inquina l’animo degli uomini: quello stesso popolo, per tanto tempo prono e con gli occhi sigillati, rapidamente, come un panno lutulento reso immacolato da un repentino lavaggio, porta in trionfo senza esitazioni partigiani e liberatori.
Ben Pastor utilizza il giallo come pretesto formale per dipingere un affresco storico, che rimanda alle tragedie collettive di Eschilo, reso ancora più vibrante dai chiaroscuri psicologici, con cui delinea ogni carattere, anche i più marginali.
Certamente un bel libro, forse a volte appesantito e reso prolisso dalle numerose introspezioni psicologiche non sempre funzionali al racconto, ma che ha il pregio di esaminare ferite ancor oggi non suturate della storia italiana ed europea, senza coprirsi coi veli della retorica e del politicamente corretto.