Intervista a Loriano Macchiavelli. Tempo da elfi

unnamedDa qualche parte ho letto: “Loriano Macchiavelli, scrittore”. Direi che mai definizione, pur bellissima nella sua complessità, avrebbe potuto essere più riduttiva. Loriano Macchiavelli è si scrittore, e di gran rango, ma anche autore teatrale, sceneggiatore, attore e altro ancora. In poche parole, un grande uomo di cultura, nel senso più ampio e nobile della definizione.
Dalla sua penna, durante una carriera letteraria ormai lunghissima, sono usciti racconti e romanzi che hanno contribuito a fare la storia letteraria del Paese, in particolare nel settore del poliziesco.
Ho potuto intervistarlo, poche settimane dopo l’uscita dell’ultimo romanzo, scritto ancora a quattro mani con Francesco Guccini, Tempo da elfi, (Giunti editore), una bellissima e magica storia, ambientata sull’Appennino tosco emiliano, che vede nuovamente come protagonista l’ispettore della Forestale Marco “Poiana” Gherardini.

Loriano, mi sono permesso di presentarti come “uomo di cultura” e come tale sei conosciuto a livello internazionale. Ma se tu dovessi raccontare ai lettori di MilanoNera chi è Loriano Macchiavelli… nel privato?
Magari fossi “uomo di cultura”. Ogni giorno che passa mi accorgo di quanto manchi alla mia cultura per essere minimamente informato sul mondo e sulle cose che riguardano l’uomo. Io sono uno qualunque che ha avuto la fortuna di fare ciò che aveva sognato fin da bambino: scrivere e farsi leggere. E vivere la vita assieme ad amici con i quali lavorare per ciò che ci sembra importante. Non è cosa da poco, eppure ce l’ho fatta. Non del tutto, ma mi sento tranquillo perché ho fatto il possibile. Ed è già tanto in un mondo che ci massacra fisicamente e psicologicamente giorno dopo giorno e dove soltanto chi ha amici diversi dai miei riesce a emergere. Io sono quello che sono senza compromessi. Lo so, non tocca a me stabilirlo, ma hai parlato di cultura e per una volta lo faccio.

L’uscita di Tempo da elfi coincide con il ventennale della tua collaborazione letteraria con un mostro sacro della musica d’autore italiana, Francesco Guccini, anche lui emiliano come te. Come è nata la vostra “ditta” e come lavorate insieme?
È una domanda, anzi due, che richiederebbero un volume per le risposte. Farò il possibile per essere sintetico. La nostra collaborazione è nata da un’idea geniale di Antonio Franchini. Di quelle idee che non ti verrebbero mai in mente tanto sono impossibili non solo da realizzare ma da immaginare. Loriano Macchiavelli scrivere con Francesco Guccini? Non diciamo stronzate.
Infatti non era una stronzata. Ed eccoci qua, all’ottavo romanzo in vent’anni.
Come scriviamo assieme: né io né lui sapevamo da che parte cominciare. Né io né lui avevamo voglia di scrivere sotto dettatura dell’altro. Né io né lui scriviamo con gente attorno. Allora, che fare? Ci troviamo, ragioniamo sul procedere della storia alla quale stiamo lavorando e ci prendiamo il compito a casa. Al successivo incontro ci leggiamo a vicenda il materiale scritto, lo uniformiamo in modo che non ci siano discontinuità linguistiche o contrasti nello svolgimento della storia. Poi, assieme alle nostre donne e, capita, a qualche amico che passa da quelle parti, da Mimmo a cena, dove scorrono altre storie fra un bicchiere e l’altro. Storie che, magari, riaffioreranno quando ce ne sarà bisogno.

Un pregio e un difetto (in senso buono) di Francesco?
Un pregio, grande come una casa: ascoltare le mie proposte, discuterle senza far valere la sua personalità e il suo prestigio. A volte vince la sua idea, a volte la mia. Un difetto? Detto così “in senso buono” diventa un pregio, quindi…

Ipotetica intervista doppia: cosa ti senti di dire all’amico Guccini, dopo tanti anni di amicizia e collaborazione, e cosa lui ti direbbe?
Intanto che scrivere con lui è stata ed è per me un’esperienza importantissima. Vorrei che lo fosse anche per lui. Ecco, glielo chiederei. E vorrei che la sua risposta fosse come me l’aspetto.

Come vi è venuta l’ispirazione per la figura dell’ispettore della Forestale Marco Gherardini, detto Poiana, fra i protagonisti della vostra fortunata produzione letteraria a quattro mani?
Avevamo appena deciso che con il maresciallo dei carabinieri Benedetto Santovito bastava così. Allora? Allora ci vuole un altro protagonista. Ci siamo guardati attorno, io ho ricordato le guardie forestali della mia infanzia… Non erano molto amate dai montanari, per la verità, ma io le amavo perché uno di loro, amico di mio padre, mi faceva avere ogni anno un albero di Natale vero. A quanto ricordo, ero l’unico ad avere un abete in casa per Natale. Gli altri si arrangiavano con un ginepro e si massacravano le mani per addobbarlo. Non potevo che voler bene al corpo forestale, L’ho proposto a Francesco, ci siamo informati e abbiamo deciso: Marco Gherardini detto Poiana, ispettore della forestale, sarà il nostro nuovo protagonista.

Nei vostri romanzi traspare un enorme amore per la vostra terra, in particolare per le zone dell’appennino a cavallo fra Emilia e Toscana, e l’ambiente gioca sempre un ruolo importante, quasi fosse un altro protagonista. Vuoi parlarci un po’ di questi luoghi incantati e poco conosciuti?
Io ci sono nato, Francesco ci ha vissuto l’infanzie e la giovinezza sui monti che raccontiamo. Poi ci siamo tornati per restarci. Chi ha avuto il privilegio di conoscerlo, non può non amare l’Appennino con i suoi borghi che ci arrivano dal medioevo, il silenzio del sottobosco pieno di suoni, i sentieri che vanno verso chissà cosa e chissà dove. C’è una storia e un ricordo in ogni masso che costeggia la mulattiera e in ogni tana di volpe. E poi ci sono i racconti che non sai mai se siano veri o inventati. Forse l’uno e l’altro. Ricordo ancora le storie che narrava mio padre, le sere d’inverno nel caldo delle stalle. Insomma, l’Appennino è pieno di mistero, di fascino e di avventura. E oggi, per fortuna, di elfi.

Da profondo conoscitore della tua terra, come vedi la sua trasformazione nel corso di questi ultimi decenni?
Per rispondere adatterò la frase ormai celebre di un film: È il progresso, bellezza. E in questa frase chi vuole può trovarci del buono e del bello. Personalmente ho la convinzione che trascurando, come facciamo da anni, la montagna, l’umanità stia perdendo una parte importante del mondo.

Rivedremo ancora all’opera la “ditta” Guccini-Macchiavelli, magari nuovamente con il Poiana protagonista insieme alla sua squadra, ormai diventata a tutti gli effetti parte dell’Arma dei Carabinieri?
Con Poiana ci è andata bene, ma adesso che la forestale non esiste più, accorpata ai Carabinieri? Una parte della risposta è già nel finale di Tempo da elfi. Per il resto, ci stiamo ancora pensando.

Fra tutte le tue creature letterarie (citiamo ad esempio, oltre al Poiana, il notissimo Sarti Antonio), ce n’è qualcuna, magari meno nota, a cui sei più affezionato di altre?
Sarà una stupidaggine, ma voglio bene a tutti i personaggi che sono passati nei miei racconti e romanzi. Sono tantissimi eppure quando rileggo un romanzo per una ristampa, mi accorgo che ho messo i personaggi al posto giusto e con la giusta dimensione. A volte penso: “Bello questo personaggio, sono stato bravo…” Una stupidaggine, ma la vedo così.

Qualche giovane scrittore italiano da tenere particolarmente sott’occhio?
Secondo me tutti quelli che scrivono dovrebbero essere tenuti d’occhio. A volte arrivano belle sorprese a volte delusioni.

Ultima domanda, come da copione: il tuo sogno nel cassetto come scrittore?
 Un romanzo dedicato a quel grand’uomo che è stato mio padre. Lo chiavano Rigo e per anni ho creduto che Rigo fosse il suo nome. La delusione me la diede la professoressa quando mi disse: «Non raccontarmi stupidaggini, Macchia. Tuo padre si chiama Arrigo». L’avrei uccisa.
Un uomo che per non prendere la tessera del fascio ha fatto il taglialegna restando nei boschi per quindici venti giorni senza tornare in famiglia, il carbonaio, il guardiafili sotto la neve… Spesso il disoccupato. Non so voi, ma per me è un eroe dei nostri tempi e si meriterebbe più, molto più, di quello che ha avuto: sudore e sangue.

Gian Luca Antonio Lamborizio

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