Possedere un corpo insensibile al dolore, non essere mai preda di mal di testa, stomaco, schiena, pancia eccetera eccetera. Il sogno di chiunque. Invece Piersanti Spina, il vice questore Spina protagonista del romanzo di Sardelli, affetto da questa rarissima condizione genetica, baratterebbe volentieri la sua “fortuna” con un corpo normale, che sente, che soffre, che gode. Ma quasi per contrappasso, se il corpo non sente sono invece intensificate le percezioni dell’anima dalla delicatissima sensibilità di Piersanti. Che si muove tra i quartieri multietnici della Capitale, a volte veri e propri gironi danteschi, abitati però, più che da anime dannate, da anime infelici e disperate. Spina va alla ricerca dell’assassino del giovane Rubel, venditore di rose bengalese ucciso durante la notte di San Valentino, colui dal quale il vicequestore ha acquistato qualche ora prima della sua tragica morte le rose per Patrizia, anestesista (paradossale analogia) che gli ha preso il cuore. Con una giusta dose di ironia e sarcasmo, Il venditore di rose procede oltre le convenzioni del genere; accanto alle rutilanti metafore dello stile, giocano col lettore le analogie: basti pensare al collegamento tra il cognome del vice questore, Spina, e la professione della vittima, venditore di rose, oltre alla professione di anestesista della fidanzata, come già detto, tutto ciò a suggerire una lettura connotativa del testo, che non si limiti alla vicenda narrata. La figura stessa del vice questore è metafora e simbolo che ribalta una condizione umana assai diffusa: l’anestesia dei sentimenti, l’indifferenza alle sofferenze dell’altro, l’anaffettività figlia dell’individualismo. Lui è esattamente all’opposto, il corpo non sente, ma l’anima è colma di pietas e di umanità. Attraverso i suoi occhi, i bengalesi, gli extracomunitari, i clochard, le anime in pena che ogni giorno affollano le vie della capitale non sono solo volti o nomi: sono esseri umani, sono persone, con la loro storia, la loro croce, la loro dannazione e la loro redenzione.
In questo mondo quasi dantesco, il lettore vive una molteplicità di sentimenti e di emozioni, dall’indignazione di fronte ai bangla tour, diffusi tra i ragazzi della Roma bene, cioè i pestaggi di cingalesi, alla compassione e alla commozione di fronte alla figura di Dovi, sorella della vittima, che soffre perché il fratello è definito solo un venditore di rose: quattro parole che si arrogano il diritto di contenere un’intera esistenza.
Un giallo ben costruito e coinvolgente, ma soprattutto un romanzo che sulla condizione umana dice molto più di tanti articoli e saggi.