Scrive bene, Berselli, e le sue storie non sono mai banali e scontate. Ma questo si sapeva e comunque il suo nuovo romanzo (Il liceo, Elliot) è qui a confermarlo. Un libro che, come spiegato dallo stesso autore, “ha avuto una gestazione lunghissima, iniziata prima del Covid e perfezionata durante il lockdown del 2020.” Duecento pagine dove l’autore dimostra una volta di più il suo talento narrativo, ma soprattutto la capacità di affrontare importanti tematiche etiche e sociali con intelligenza e ironia.
Siamo a Milano, cuore pulsante e centro nevralgico dell’economia, modello di modernità per ricerca, scelte architettoniche, strutture e innovazione tecnologiche. Una smart city proiettata in un futuro che è già presente. E a influenzare il futuro, contribuisce attivamente il liceo Modigliani, “il gotha dell’istruzione secondaria di secondo grado.” L’eccellenza, l’istituto privato che si propone come mission “di formare studenti che diventeranno la nuova casta dirigenziale in campo politico, economico e finanziario.”
Insegnare al Modigliani vuol dire entrare a far parte di una élite, gettare le basi per l’avvio di una carriera luminosa. Un’occasione di quelle che si presentano una sola volta nella vita, un viatico per il successo. Ed è proprio quello che pensa Lorenzo Padovani quando gli viene assegnata la cattedra di Storia e Filosofia. Ventisette anni, enfant prodige con un curriculum accademico a cinque stelle, ambizioso e determinato. Cresciuto in una famiglia bene, padre affermato professionista nel campo delle costruzioni ecosostenibili, madre affettuosa e presente, sorella psicologa. In poche parole, un predestinato.
Tuttavia, “non è tutto oro quello che luccica” è un proverbio che ben si adatta alla situazione con la quale Lorenzo deve confrontarsi. Perché dietro alla copertina patinata, alla facciata scintillante, si nasconde una realtà ben diversa. O forse uguale a tante altre. Una dirigenza schiava dei propri interessi, asservita al potere (politico ed economico) e colleghi arroganti e arrivisti che si crogiolano nel piccolo potere che il ruolo attribuisce loro. E poi, ci sono gli studenti. Che, nonostante il contesto sociale e lo status di privilegiati, non sono immuni da tutte le problematiche e le dinamiche tipiche della loro età. Non ancora adulti, ma non più bambini, faticano a reggere pressione, competitività e aspettative. Tanto che, a volte, rimangono vittime di meccanismi psichici così dolorosi da spingere al suicidio. Che è quanto sembra accadere ad Anastasija Smirnov che, dopo aver in qualche modo evidenziato il proprio disagio proprio a Padovani, viene ritrovato morta in seguito alla caduta dal tetto di uno degli edifici del Modigliani. Un tragico evento che però presenta delle zone d’ombra e che fa maturare in Padovani un profondo conflitto interiore. Tanto da volerci vedere chiaro e trovare risposte definitive, anche a costo di mettere in gioco non solo la carriera, ma anche la vita.
Il liceo non è un romanzo da “tutto e subito.” Cresce piano, senza forzature e senza scoprire subito le carte in tavola. Perché Berselli conosce i tempi della narrazione. Prima ci fa conoscere i personaggi e l’ambiente dentro il quale si muovono e interagiscono. Prepara loro il terreno e, al momento giusto, scatena l’azione. Supportandola con una buona dose di suspence e disseminando falsi indizi che depistano il lettore senza tuttavia appesantire la trama. Colpi di scena? Non mancano pure quelli. A completare il tutto, i dialoghi. Come al solito brillanti, ricchi di humor, ma soprattutto credibili. Ultime note di merito alla colonna sonora (pezzi che spaccano), al cibo cool e ai cocktail citati nel romanzo. Perché, anche se Milano s’è già bevuta tutto quello che c’era da bere negli anni Ottanta, ha ancora sete.
Un bel libro, sicuramente da leggere. Il migliore di Berselli? Credo proprio di sì.