Maggio 2003. Nina insegna aerobica a Roma, conosce Gianni che ha vent’anni e non ha una lira e Rocco, cinquant’anni, ex fotografo. Tutti e due ex eroinomani. Grazie a loro Nina si trova coinvolta prima in un omicidio, poi in uno scontro sempre più efferato tra “gli Africani” e “la banda di Civitavecchia”, che si contendono la vendita di “Henry” (l’eroina di qualità superiore, nel gergo degli Africani). Le indagini sono condotte da Silvestri e Spillo, due poliziotti molto anomali, come anomala è la città che Nina scopre a poco a poco, tutta popolata da stranieri.
Henry è un nomignolo con cui nel gergo si chiama l’eroina. E l’eroina è al centro di questo romanzo: per ottenerla, per spacciarla, per distruggerla si incrociano le vite di un’umanità metropolitana e multietnica. Un’umanità sradicata.
La storia prende abbrivio da un omicidio avvenuto nel mondo degli spacciatori per cui viene arrestato un innocente.
Il seguito è un frenetico susseguirsi di situazioni ironiche e brutali, di inseguimenti e azione, di azioni e reazioni sempre più fuori controllo.
Ma la cifra del libro sta nei monologhi con cui ogni tanto si nterrompe il flusso degli eventi per partecipare a una descrizione in prima persona della storia fatta dai diversi personaggi: una manifesta dimostrazione della parzialità dei punti di vista e della complessità che una vicenda può assumere a seconda di come la si analizza.
Ulteriore elemento di interesse è l’affresco di un’Italia sotterranea e interstiziale – ancora poco raccontata – in cui domina l’egoismo e la corruzione, mali che imperversano a tutti i livelli nella nostra società. L’autore non giunge mai a un giudizio morale e nemmeno a una classificazione di buoni e cattivi, ma racconta il ciclo economico
della droga così com’è – fornendo al lettore un’interessante strumento analitico della realtà. Senza rinunciare al piacere del racconto.
(Antonio Cecere per gentile concessione di OperaNarrativa.com)