Girata l’ultima pagina de Gli omicidi dei tarocchi di Barbara Baraldi, che esce in questi giorni per Giunti Editore nella collana M, due riflessioni prioritarie s’impongono alla mia mente.
La prima: l’autrice continua con indiscutibile perizia a praticare l’indagine psichica applicata al romanzo crime. E per fortuna, dico io, visto che in caso contrario, dopo i cinque romanzi della “profiler del buio” e la riedizione del suo esordio nel thriller La bambola di cristallo (tutti editi da Giunti), avrei di certo sentito la mancanza della sua voce tensiva, sensibile ed empatica.
La seconda riflessione riguarda il concetto di sincronicità che, se leggerete il romanzo di Baraldi come vi auguro, molta parte ha in quella storia ma anche nella vita di noi tutti. Carl Gustav Jung, forse il più “esoterico” tra i padri della psicoanalisi, affermava infatti che «la sincronicità è una realtà sempre presente per coloro che hanno gli occhi capaci di vedere». Come dire che nessun evento è puramente accidentale ma al contrario possiede un significato preciso e una ragione altrettanto specifica.
Un piccolo esempio personale di sincronicità? Poco prima di iniziare la lettura de Gli omicidi dei tarocchi mi ero avvicinata all’ultimo saggio di Massimo Recalcati, Uno diviso due. Fratelli e sorelle (Feltrinelli, collana Scintille, maggio 2025), una profonda riflessione su come il loro legame, ben lungi dal costituire un idillio naturale, nasca invece come una perdita, di quella dell’unità originaria, dell’Uno diviso Due, primo insegnamento a base della psicoanalisi.
Ed ecco che nel romanzo di Baraldi al centro della trama campeggia proprio il legame infranto tra le due protagoniste, le sorelle Maia ed Emma Bellini. Un’artista mancata la prima, una commissaria efficiente e pragmatica la seconda: istinto e ragione, cuore e cervello.
Da tre anni non si parlano, da quando la vita di Maia è andata in frantumi, non senza qualche responsabilità di Emma.
Oggi Maia vegeta in una quotidianità solitaria, interrotta solo da improbabili colloqui di lavoro e priva oltretuttodi quell’imprescindibile “strumento di esplorazione del lato nascosto delle cose” che fino a tre anni prima era per lei la lettura dei tarocchi.
Già, perché Maia è sempre stata la “mistica della famiglia”, pronta ad accendere bastoncini di incenso e, soprattutto, a ricorrere ai tarocchi. Non per indovinare il futuro ma per esplorare senza sosta il proprio mondo interiore. E infatti che cosa sono mai quelle carte se non archetipi, immagini universali che fanno parte dell’inconscio collettivo? Ancora Jung.
Maia ne aveva addirittura disegnato un mazzo completo, ispirato a quello marsigliese di Camoin e Jodorowsky ma reinterpretato in stile Art Nouveau. Doveva essere il prototipo di una serie che lei avrebbe prodotto e commercializzato. Quando però la sua vita si era spezzata, l’aveva distrutto. E non si era più avvicinata ai tarocchi.
Ed ecco che il caso, o la sincronicità, sulla scena triestina di due omicidi fa ricomparire altrettante carte di quel mazzo che non dovrebbe più esistere.
A indagare è Emma Bellini, che le riconosce come disegnate dalla sorella. A quei delitti ne seguirà un terzo e, dopo gli arcani della Ruota della Fortuna e della Temperanza, verrà ritrovato quello della Papessa.
Omicidi eccellenti – un agente immobiliare di beni di lusso, la socia di una palestra frequentata dai notabili della città, una fortunata imprenditrice di alimenti e bevande wellness – che dunque, pur senza apparente legame, si prestano a molteplici ipotesi: da un movente di matrice politica a un complotto a sfondo esoterico, fino all’opera (perché no) di un serial killer.
Di quest’ultima teoria, anzi, è più che convinto il super consulente che il PM convoca da Roma, in aiuto della commissaria Bellini. Tra i due è scontro aperto ed Emma preferirà seguire altre strade che la porteranno inevitabilmente a confrontarsi con la sorella e a riaprire un dialogo dolorosamente interrotto.
Maia dal canto suo non può sottrarsi perché si sente sempre più coinvolta in prima persona, quasi chiamata in causa dall’assassino. Il suo riavvicinamento ai tarocchi sembra però annunciarle un orizzonte più aperto: nuove amicizie e la decisione di assecondare quella vocazione artistica che negli ultimi anni aveva così drasticamente rifiutato.
Mentre riprende il suo antico rituale di pescare una carta al giorno dai tanti mazzi di tarocchi della sua collezione, l’Imperatore, l’Innamorato, l’Imperatrice, il Diavolo, il Mondo, la Morte, concorrono a decifrare il suo passato e il suo presente.
A risolvere il caso sarà la pervicace razionalità di Emma, non disgiunta però da una buona dose di intuito che la rendono non così diversa dalla sorella.
Sullo sfondo di una Trieste le cui condizioni atmosferiche sembrano riverberare le sensazioni di Maia – «un’aria calda e umida sospinta in città dalla brezza marina» che le secca la bocca, quasi che «l’ultima goccia di saliva fosse stata prosciugata da una spugna attaccata al palato» -, la sua paura è tangibile e «le serpeggia lungo la schiena come un organismo estraneo».
Grande protagonista del romanzo, la psicologia di Maia è esplorata dall’autrice con abile realismo e manifesta empatia, proiettandoci in una dimensione in cui lo scioglimento del mistero criminale assume pari rilievo al riconoscimento dei nodi che aggrovigliano il suo mondo interiore, imprigionandola in uno sterile presente.
Emma, quasi spalla della sorella per tutto il romanzo, mostra però una inossidabile fiducia nella sua estraneità in eventi che paiono invece implicarla sempre più e una toccante volontà di ristabilire un dialogo.
Attraverso luoghi simbolo dell’alta società triestina – residenze esclusive, yacht di lusso, gallerie d’arte all’avanguardia, casinò appena oltre il confine – la trama si dipana con ritmo sempre più pressante ma con ammirevole chiarezza espositiva. Fino al convincente epilogo che scioglie con pari plausibilità il mistero che si nasconde dietro ai delitti e quello che si annida nell’animo dei protagonisti.
La scrittura di Baraldi asseconda il racconto con pertinente semplicità, mai pretenziosa ma sempre appropriata e partecipe. Un linguaggio visuale il suo, nel senso migliore del termine, stimolo per una allettante trasposizione televisiva.