Oggi avrebbe novant’anni tondi tondi e sarebbe comodamente bisnonno se una febbre malarica scambiata per influenza non se lo fosse portato via a quarantuno, quando, da idolatrato Campionissimo, era già diventato l’uomo-scandalo in un’Italia smemorata, volubile e bigotta.
Era il due gennaio 1960. Alle 8,45 di un mattino brumoso muore all’ospedale di Tortona l’invincibile Fausto Coppi, sconfitto da una banale febbre malarica contratta in Africa e soprattutto dall’arroganza dei medici italiani che dopo aver clamorosamente sbagliato diagnosi non vollero fare dietro front e cambiare terapia.
Fausto Coppi, leggenda italiana su due ruote come Marco Pantani: due vite spese ad arrampicarsi su per i tornanti e a volare giù dalle discese. Trofei a piene mani e un’intera nazione trascinata, Giro dopo Giro, tappa dopo tappa, in un sogno infinito. E tutto per ricevere in cambio di tante emozioni solitudine, biasimo e pena.
Sulla desolata solitudine di Marco Pantani si è scritto troppo. Su quella di Coppi, maturata in circostanze ben diverse ma ugualmente dolorosa, è sempre gravato un silenzio gonfio di imbarazzo. A romperlo, dopo quasi mezzo secolo di oblio, è stato è un grande cronista di nera: Gabriele Moroni, autore di libri d’inchiesta (fra cui: Le Beste di Satana e Per odio e per amore – Ugo Mursia editore).
In Fausto Coppi la solitudine di un campione, Moroni ha ripercorso gli ultimi anni di vita del Campionissimo: quelli difficili del declino atletico e della gogna mediatica subìta per qualcosa che oggi sarebbe motivo di vanto ma che negli anni Cinquanta era una colpa grave e un reato da galera: l’amore di un uomo sposato per una donna sposata.
Per addentrarsi in un argomento così privato senza scadere nel melodramma il “cronista” Moroni ha scelto la via che gli è più congegnale: quella della narrazione dei fatti e della raccolta di testimonianze, voci, punti di vista di tante persone che ruotarono attorno a Coppi nei suoi ultimi anni di vita. Amici autentici e subdoli adulatori o, per meglio dire, clientes alla latina: gente che, per un verso o per un altro, dipendeva da lui e che finì per rivoltarglisi contro. E avvocati, carabinieri, avversari leali come lo fu Gino Bartali e giudici sportivi carogneschi, preti e cameriere di hotel… l’intero campionario di umanità che ieri come oggi ruotava attorno ai campioni dello sport.
Dal suo minuzioso lavoro di indagine è nato è un grande reportage che è anche una lezione. Anzitutto di umanità e poi, per la completezza dell’informazione e la rigorosa semplicità dell’esposizione, di giornalismo.