Due e il doppio di due. La lettura di “Erba d’annata” di Aldo Pagano (Ed. Piemme) fa risuonare costantemente il concetto di dualità, con due elementi (e il loro doppio) che siano in accoppiamento o in contrasto. Almeno due, se non quattro, otto, sono gli aspetti della personalità del personaggio principale: il sostituto procuratore Emma Bonsanti, investigatrice caparbia e donna fragile con le sue storie di amori a metà. Una donna che ha sempre fatto del dubbio la leva per eccellere nel suo lavoro, che comincia a farsi sopraffare dai dubbi sulla sua vita personale. Almeno due sono le vite di Giorgio De Santis, giovane vittima in quello che sembra un suicidio e poi si rivelerà ben altro, un ventitrenne di buona famiglia, anzi di una delle “famiglie bene” di Bari (dove è ambientata la storia) con un futuro tracciato di notaio, ma stufo e deluso dai progetti che gli altri hanno disegnato per lui e incapace di portare a termine qualcosa di veramente suo. Un giovane amato dai suoi amici per la capacità di ascolto, di comprensione, che vive da sempre un legame di amicizia fortissimo con una ragazza, con la quale però litiga molto spesso.
Almeno due sono i livelli di comunicazione all’interno della “Bari bene”, quella fatta di gente che ha fatto i soldi (o finge di averli), quella dove sono tutti amici, tutti si conoscono, tutti sanno tutto di tutti, ma in realtà quello che appare è molto meno di quello che succede realmente, anche se si fa finta di vedere soltanto quello che emerge. Una sorta di megatribù in cui i giovani ripetono ossessivamente la rappresentazione di se stessi, con le serate nei locali della movida a bere e a raccontarsi sempre gli stessi fatti, per poi cercare emozioni forti che li facciano sentire vivi.
Pagano è bravo a disegnare una mappa dettagliata delle fragilità di questi giovani, del vuoto che spesso li attanaglia, ma anche della voglia di emergere di chi aspira a entrare a far parte della tribù.
Due, quattro, otto piani diversi, molti dei quali scivolosi, attraverso i quali si muove una indagine che parte sonnolenta, quasi scontata, con una ipotesi di suicidio, e che si ravviva grazie alla testardaggine di Michele Lorusso, sovrintendente capo della Polizia, collaboratore della Bonsanti, un po’ persa in un suo momento di particolare difficoltà, legato alla resa dei conti con l’amore per un uomo, o meglio per gli uomini della sua vita. Il cadavere del De Santis è stato ritrovato all’esterno di un capannone abbandonato, a poca distanza da altri capannoni dove si era tenuto un rave party. La morte molto probabilmente è dovuta alle fratture multiple, conseguenti alla caduta dal tetto della struttura. Disgrazia, omicidio o, come sembra alla luce di alcune situazioni problematiche, suicidio? Una nebbia fitta, alla quale contribuiscono le mezze e le doppie verità raccontate dalla fidanzata, dall’amica del cuore, dagli altri amici. Lorusso coglie il momento di apatia della Bonsanti e decide di saperne di più, anche per scuoterla. Viene a sapere di un pestaggio ai danni della vittima, messo in atto dai componenti di un clan malavitoso, perché il De Santis si era messo a produrre marijuana, peraltro di qualità eccelsa. Parte così un’indagine in cui poco o nulla è come appare, dai fatti alle persone, con sullo sfondo una Bari in cui le infiltrazioni della malavita nella quotidianità personale e sociale sono evidenti e molto più radicate e trasversali di quanto si possa immaginare.
Pagano racconta i suoi personaggi, li mette a nudo, con un lavoro minuzioso di introspezione psicologica, seguendo la quale si può intuire la verità, senza farsi però abbagliare dalle verità che possono essere due o il doppio di due, tutte credibili. Non affrettatevi nel giungere a conclusioni avventate e godetevi la lettura di questo romanzo, che ha una scrittura fluida, condita dalla giusta dose di espressioni gergali, che lo rendono palpitante.