David Lindholm, il commissario di polizia più celebre di Svezia, lo trovano evirato nel letto del suo appartamento. Sua moglie Julia, anch’essa poliziotta, in bagno in stato di shock. Di Alexander, il figlio di quattro anni, neanche più l’ombra. A scoprire la tragedia è un’amica e collega di Julia. Difficile che dell’omicidio non venga incolpata la moglie. Tutto, ma proprio tutto in quell’appartamento, indica che è lei l’assassina. Anzi, duplice assassina. Perché il bimbo proprio non si trova e allora non resta che dichiararlo morto. Per mano di madre.
Del caso si occupa Annika Bengtzon, giornalista a Stampa della sera e miracolosamente scampata a un incendio doloso che ne ha mandato in cenere l’intera casa. E un altro fuoco divampa dentro la sua situazione famigliare. Il marito si è trasferito dall’amante, ha chiesto il divorzio e l’affidamento dei due figli. Il lavoro soccorre il bisogno di equilibrio della reporter, ma l’inchiesta sulla fine dell’eroe nazionale in divisa da poliziotto comporta lo scavare dentro la verità illumunata dalla ragion di stato con la forza delle sole proprie unghie.
L’autrice, Liza Marklund, scrittrice, giornalista e volto televisivo gode di grande popolarità in Svezia. Anche grazie ai dieci milioni di libri venduti in tutto il mondo. Questo Finché morte non ci separi aiuterà ad aggiornare i numeri con un forte rialzo. Anche grazie alla generosità dei lettori italiani. Il libro in effetti è scritto alla perfezione. La storia si alimenta via via di un pathos narrativo tenuto alto fino al punto finale. Un giallo confezionato al bacio. Sanguigno ed elegante. La lettura ne gode.
Epperò? Epperò c’è un “ma”. Grande così. Un “ma” che si chiama Millennium Trilogy. A firma, ça va sans dire, Stieg Larsson.
E sì perché, a voler essere teneri, si riscontra una serie di analogie con la trilogia di Lisbeth Salander e Mikael Blomkvist, a dir poco impressionante. Che, se invece vogliamo essere malevoli, fanno di questo romanzo un compendio bignamico dell’opera di Larsson. Come a dire: a lui ci sono voluti tre volumi per raccontare quella storia che ha ubriacato tutti, dagli incalliti giallisti ai non lettori dell’intero pianeta? Bene, io ve ne racconto una simile in un solo libro.
Peschiamo a caso (e solo qualcosa):
1 – sull’intera storia aleggia la pesante realtà della sopraffazione maschile sulla donna in terra di Svezia;
2 – la protagonista è una giornalista d’inchiesta;
3 – la protagonista si scopre efficace nerd informatico;
4 – si viene a sapere che l’accusata è stata in passato oggetto di una pesante perizia psichiatrica;
5 – una casetta in mezzo al bosco lontana da Stoccolma e dagli sguardi dei curiosi diventa qualcosa di più e di diverso di quel che appare;
6 – alcuni criminali si mettono a caccia della protagonista;
7 – sembra assente ogni minima via d’uscita per la moglie del commissario quando il romanzo prende la piega legal thriller;
8 – si scopre una parentela acquisita che dà parecchio sale all’intreccio;
9 – la protagonista ha l’abitudine del soprannome offensivo tra il nome e il cognome del personaggio che prende di mira.
Il tutto (e altro) all’interno di una Stoccolma descritta via per via, quartiere per quartiere. E qua ci fermiamo perché altrimenti tanto vale svelare l’epilogo.
E poi l’autrice fa un passo falso rivelatore. Dopo i ringraziamenti, ecco sei pagine per dire come sono nate le scene e i personaggi. Quali i padrini e le condizioni ambientali che hanno generato il cosa, il chi e il come.
Il sospetto si fa carne viva. Per un caso come questo in un’aula di giustizia che applica il diritto romano si parlerebbe di excusatio non petita.
Ma sia ben chiaro: se non avete letto la Millennium Trilogy questa Marklund vi toglie il sonno.