Aprile 1970. É tornato nella sua Firenze, il colonnello Bruno Arcieri e la sua idea sarebbe di restarci e cercarvi finalmente po’ di benessere e pace. Ha per sua fortuna un nuovo, solido, rassicurante legame affettivo e con l’aiuto di Marie, la sua dolce cinquantenne compagna, ex bigliettaia di un cinema francese, e con il protettivo rassicurante scudo offerto da Serenella, vecchia amica dei tempi dorati di Elena, si è trasformato in un ristoratore e ha aperto una trattoria di successo in via de’ Bardi, nel cuore medievale della città.
Sull’insegna sta scritto (e il nome dice il vero): Gli Spostati. Nome infatti che ben descrive tutto il personale dedicato, composto per la maggior parte da suoi protetti, tutti ex inquilini della “comune” di periferia che tre anni prima l’aveva accolto e aiutato al suo arrivo in fuga da Parigi. E tutti loro, a conti fatti, sono degli spostati ovverosia: indisciplinati, intolleranti o forse solo fuori luogo in quella che abitualmente si considera normalità. A partire da Berta, ex suora, fatta per dare amore ma non solo in puro spirito, Simone, ragazzo insicuro, fuggito di casa e che ama solo la musica pop e il silenzioso gigante Tripoli, ex carcerato redento, riciclato in perfetto cameriere. Senza dimenticare l’ultimo, appena arrivato, l’anziano, misterioso e indisciplinato cuoco sopraffino Max, l’uomo finora senza cognome, senza un vera identità, quasi coetaneo di Arcieri, indiscusso e creativo mago ai fornelli, un tempo allievo nientedimeno di Ho Chi Min (che lo era stato di Escoffier). Proprio lui, sissignori, Ho Chi Min, chef per anni nel ristorante milanese “La trattoria della Pesa” (dove gli increduli troveranno ancora appeso al muro il suo ritratto), prima di tornare in estremo oriente, allora Indocina, e dopo vicissitudini, guerre e guerriglie, guidare con implacabile fermezza il Vietnam del nord fino alla sua morte nel 69’. Tutti i collaboratori della trattoria dunque sono degli spostati, come a conti fatti anche Arcieri e Marie che ormai si considerano degli emarginati, fuori dai giochi delle loro precedenti vite e interessi. O almeno è quanto Arcieri spera. Insomma di aver diritto a una nuova tranquilla e serena realtà, senza dover abbandonare il suo amore per il jazz, le vecchie e preziose conoscenze. E invece poter anche coltivare nuovi interessi, farsi persino dei nuovi sinceri amici, come il maresciallo Guerra, quasi un prezioso angelo custode.
Ma il suo sogno di normalità rischia di cadere in frantumi quando scoprira che qualcuno ha devastato la cucina, il gioiello della trattoria, la notte prima dell’inaugurazione.. A complicare vieppiù la situazione sarà il ritrovamento di un cadavere schiacciato dall’enorme frigorifero ribaltato e l’assenza del cuoco, Max, incaricato di chiudere il locale la sera prima. Max non si trova, alla “comune” dove si era provvisoriamente istallato non ha fatto ritorno, pare sia scomparso senza lasciare traccia. Cosa è successo? Si tratta solo di vandalismo finito male o peggio di una vendetta?
Le prime indagini dei Carabinieri consentiranno di identificare nel morto: Oreste Nesi, un balordo malavitoso di piccolo calibro, senza una vera fedina penale, si conosce solo la sua militanza nelle file della Repubblica di Salò. L’uomo, che aveva pochi spiccioli in tasca e risulta nullatenente, viveva a Milano in una palestra di via Po. Pare evidente che, se si vogliono ricostruire i suoi movimenti e il loro perché, tutti gli elementi a disposizione costringano l’ex colonnello ormai settantenne a puntare il dito sulla capitale lombarda e magari su fatti dimenticati del lontano passato anteguerra. O a qualcosa di diverso, magari più strettamente collegabile a Max, il cuoco scomparso? Comincerà per Bruno Arcieri, con il risicato appoggio di Nanette e di Daniele, gravemente infermo e ricoverato all’Ospedale di Careggi, che, tuttavia, lascerà di nascosto per accompagnarlo nel suo viaggio in treno verso Milano, quella che pare solo un’estenuante caccia alle ombre, sulla scia solo di un nome. Prigionieri di taxi immersi nel caos del traffico o arrampicati su tram sferraglianti i due dovranno frugare in vecchie trattorie meneghine arrabattandosi tra antiche conoscenze,in un intrico di personaggi che riemergono in una macabra danza di fantasmi dei peggiori anni dell’era fascista, quelli subito prima della sanguinosa fine del regime.
Ma ci sono degli imprevedibili testimoni fiorentini che si celano dietro le tende della finestra perennemente accesa di notte di un antico palazzo patrizio di via de’ Bardi. Finestra che domina dall’alto e par quasi voler covare la trattoria, con la sua ala protettrice. Possibile?
Forse la baronessa, la sua giovanissima e irrequieta nipote Chantal e le sue amiche, giocatrici notturne e onniscienti presenze hanno visto tutto, sanno tutto e forse saranno le sole in grado di riportare a galla la verità.
Per fortuna, Arcieri può sempre contare sull’amicizia, l’appoggio e il granitico buon senso del commissario Bardelli come sull’acume, sugli occhi e le orecchie ben aperte e la gratuita lealtà del Maresciallo Guerra. Bertini e altri pilastri romani che sembravano punti fermi, infatti ora sono in bilico. Per dare un’occhiata agli armadi più segreti e saperne di più, bisogna trovare altre generose sponde, con la riservata garanzia di Bardelli.
Nanette, ormai anziana ma ancora bella, gioca il suo solito ruolo di trasformista che più le si confà in ogni occasione, mentre Daniele, doppiogiochista e spia in disarmo, come lei fragilizzato dalla sua malattia apportatrice di un incerto futuro, manovra un misterioso timone.
Un bel romanzo teso, complesso, non facile da metabolizzare, ricco di contorni volutamente ambigui come molti dei suoi protagonisti, con un Arcieri incerto e inquieto, che soffre il peso degli anni e nonostante i vari tentativi, non riesce mai a lasciarsi dietro le spalle i fantasmi del passato.
Un Bruno Arcieri invecchiato, spesso costretto suo malgrado ad accollarsi e affrontare gravi decisioni o a subire imposizioni che lo provano molto e psicologicamente.
Tirate le somme, un uomo stanco, posto davanti a un bivio cruciale, costretto a fare i conti con strazianti ricordi e una brutta e vecchia storia, in grado di stravolgere la sua nuova stabilità faticosamente conquistata e al quale impongono addirittura di esprimere un giudizio. L’ultimo, definitivo?
E perché mai dovrà spettare a lui il doverlo fare?