Con “Io sono l’indiano” Nero Rizzoli ci presenta la prima indagine dell’ispettore Massimo Valeri, la nuova creatura di Antonio Fusco, reduce dai successi del commissario Casabona.
Valeri, che tutti chiamano Zingaro per via delle sue origini, è un uomo fuori dagli schemi consueti. Di etnia sinti, è stato adottato da una famiglia italiana da cui ha ereditato una barca, ormeggiata nel porto turistico di Roma, che è diventata la sua casa. Il suo unico legame stabile è la gatta Lorena, indipendente come lui. Ama il mare e la libertà. Odia le gerarchie e i pregiudizi, per cui andare d’accordo con i propri superiori non è sempre facile.
È novembre, e come spesso accade in quel mese Roma è sferzata da una pioggia insistente, ma ciò non impedisce a una giovane donna di sostare in ginocchio nei giardini di fronte al commissariato del XVII distretto: Portava un vestito nero, lungo e leggero, inzuppato dalla pioggia che era venuta giù a secchiate. Il freddo attraversava il suo corpo esile e di tanto in tanto le provocava tremori che non riusciva a controllare. I capelli si attaccavano sul volto smunto e stanco come i tentacoli di una medusa. Ma lei niente, restava impassibile, sembrava stare altrove rispetto alla sofferenza che pativa.
Al contrario dei suoi colleghi, Valeri non riesce a ignorarla. Conosce la sofferenza e il dolore e la dignità di Zula (la donna si chiama così) attirano la sua attenzione. Lei è lì, a fissare la bandiera italiana che sventola davanti al commissariato, in cerca d’aiuto. Vuole che la polizia trovi Jamal, l’uomo con il quale è fuggita dall’Eritrea in cerca di una nuova vita in Francia, dove già vive una sorella di Jamal che avrebbe potuto aiutarli a sistemarsi. Lei in Francia c’è arrivata, ma Jamal no: lui non è riuscito ad attraversare il confine a Ventimiglia e si è sottratto ai controlli di polizia con una fuga rocambolesca. Tornato in Italia, come succede a molti dei disperati che arrivano in Europa affrontando viaggi terribili attraverso il deserto, la Libia e poi il mare, il ragazzo è sparito nel nulla, ma Zula non è disposta a lasciarlo andare. Ne hanno passate tante, insieme, e ora che il loro sogno è prossimo alla realizzazione non vuole permettere che se ne vada in fumo.
La presenza della donna, però, non è gradita alla polizia che non sa dare risposte ai giornalisti attirati dalla sua silenziosa protesta. Così il commissario Bruno Tognozzi, il diretto superiore di Valeri, decide di affidargli l’incarico di risolvere il problema. Lo Zingaro non gradisce il mandato: deve trovare Jamal e sa che cercare un immigrato sparito tra le migliaia di disperati in giro per Roma è come cercare un ago in un pagliaio. Inoltre, sa anche che Tognozzi gli ha affidato l’indagine perché lui è un poliziotto scomodo. Non a caso il commissario gli ha pure affiancato come collega Matteo Landini, “un assistente che si occupava dell’archivio e dei reperti. Era una brava persona e un ottimo poliziotto ma, da qualche tempo, giravano strane voci sul suo orientamento sessuale e lui non faceva niente per smentirle. Per via di questa situazione lo avevano messo ai margini dell’attività operativa.”
Il caso sembra risolversi quando Zula riconosce Jamal in un extracomunitario investito sulla tangenziale e caduto giù da un ponte, ma non è così, perché la donna non sospende la sua protesta: adesso vuole sapere chi è stato a uccidere il suo amato. Si apre una nuova indagine che condurrà Valeri e Landini attraverso il dedalo delle Onlus che dovrebbero sostenere gli immigrati e i politici che le finanziano. Un’indagine dalla soluzione difficile, perché nulla è quello che davvero sembra.
“Io sono l’indiano” è un romanzo scorrevole, che si legge tutto d’un fiato e che a mio giudizio ha un grande merito: quello presentare un quadro sociale scomodo, che tutti noi abbiamo ogni giorno sotto gli occhi, ma che in molti non vogliono vedere. La guerra, purtroppo, non esiste solo in Ucraina. L’Africa ne è devastata. È questo il motivo per cui Zula e Jamal, come molti altri disperati, affrontano il lungo e rischioso viaggio della speranza per arrivare in paesi che non li accolgono e non li vogliono.
Attraverso una miriade di punti di vista, Fusco ci presenta il problema in ogni sua sfaccettatura. Jamal e Zula sono vittime del sistema, ma non sono le sole. Anche alcuni immigrati, come la russa Irina, possono trasformarsi nei carnefici di coloro che li hanno amati. La vita è un gioco duro, dove oppressi e oppressori spesso si confondono e sta a quelli come lo Zingaro cercare di districare la matassa.