Roma. Gennaio 2019.
Undici passare e il cinquantenne appassionato melomane sostituto procuratore della repubblica di Roma Manrico Conte Spinori della Rocca dei conti di Albis( con a fastidioso traino gli altri nomi: Leopoldo Costante Severo Fruttuoso Rick, detto Contino o peggio Rick) è arrivato a sentire neppure la metà della logorroica e irrefrenabile requisitoria dell’avvocato difensore nel terzo dei dodici processi previsti per quel primo lunedì dell’anno alla sesta sezione del tribunale.
Le undici, dunque, con l’orologio che di questo passo minaccia implacabile un’’udienza destinata a durare magari fino notte. Non gli resta che, ottenuto dal presidente il permesso, allontanarsi brevemente dall’aula e in corridoio chiamare Camillo: il fedele maggiordomo. Lui e sua madre la contessa Elena, dovrebbero arrivare nel pomeriggio in aereo da Cortina. Ma il programma è saltato, i due hanno perso l’aereo e deciso di noleggiare un Ncc, ragion per cui ancora una volta Manrico Spinori sarà costretto a far fronte a misfatti e reazioni di una mamma, incoercibile ludopatica.
Tornato pensieroso in aula, in tempo per la fine della requisitoria della difesa e in seguito momentaneamente liberato in attesa della sentenza, indossa un giaccone ed esce l’aperto, sfidando la giornata fredda e ventosa. Vorrebbe rilassarsi e tirare il fiato, dopo il successo dell’ultima indagine, in cui si è dimostrata l’ efficacia della sua squadra ormai composta tutta da valchirie dopo la fatale dipartita del fedele Scognamilglio. Squadra che, dopo gli iniziali assestamenti comincia a girare come un orologio. Per lui si prospetterebbe un periodo abbastanza sereno. con tempo a sufficienza per lasciarsi andare alla sua passione, la lirica. Oddio certo sempre senza dimenticare gli imprevisti della madre e barcamenandosi allegramente con una vita sentimentale in confusionario divenire.
Ma viene raggiunto da Sandra Vitale, la sua storica collaboratrice attualmente in rotta con il marito fedifrago, che gli consegna una busta gialla con sopra scritto riservato. La busta gli è stata inoltrata da Blumenstein, un collega, che gli trasmette notizie contraddittorie sull’ omicidio di Francesco Lo Moro, alias Veronica, dell’agosto 2009. All’epoca era stato proprio Spinori a coordinare le indagini con l’appoggio del maresciallo Scognamiglio. Insomma, un vecchio caso, un cold case pronto a tornare dal passato. Ora le parole di un pentito paiono buttare per aria la sua vecchia indagine. Perché, a stare a sentire er Farina – spacciatore, tramite, testa di legno della malavita organizzata, ora ufficialmente pentito e gola profonda, per evitarsi la galera nera e sotto protezione con la moglie – dieci anni prima il dottor Spinori non avrebbe affatto risolto l’assassinio di Veronica, escort transessuale d’alto bordo. Insomma, quello che era il suo accusato, il probo colonnello degli Alpini Ridorè, che sconvolto dallo scandalo si era suicidato, non sarebbe stato il vero assassino. Possibile?
Manrico Spinori che, dopo tanto tempo , non ricorda neppure il caso, fa ripescare in archivio il fascicolo, incontra anche di persona il Farina, ma non ottiene nuovi utili indizi chiarificatori.
Ciò nondimeno il seme del dubbio prende spazio nella mente di Manrico Spinori della Rocca che, pur nel generale scetticismo della procura, sente pesare un’ombra su quella vicenda e decide di riaprire le indagini. L’ipotetico assassino si era suicidato mentre c’erano ancora sospetti e interrogativi da chiarire. Forse non avevano approfondito abbastanza il quadro dell’omicidio? E zac in poco più di un lampo salterà fuori la puzza di altre mele marce che scatenano nuovi dubbi. Tanto per cominciare perché la trans Betty, grande amica di Veronica, era morta in seguito per overdose? E visto che sulla scena di quei fattacci figurava la presenza di due poliziotti, sempre gli stessi per tutti e due i casi, Deborah Cianchetti, ispettora della squadra Spinori, un metro e ottanta di tatuaggi e muscolatura da karateka, li risente come testimoni. Epperò quando Pampinella, quello ancora in servizio, la chiama per darle un appuntamento, viene falciato e ucciso da un furgone sulla Portuense, prima di poterla incontrare. Di cosa voleva parlare Pampinella?
A Manrico e alle sue altre valchirie & company : Gavina Orru, sempre in pista e il demone del computer, senza dimenticare l’efficiente spiritosa segretaria Brunella e, soprattutto, la 34enne collega Valentina, vivace e bella marchigiana di Macerata, non resterà che arrabattarsi arrampicandosi testualmente sui vetri per tentare di mettere assieme le tessere di un complicato puzzle minato da manovre dilatorie, districandosi tra bugie, vizietti di aristocratici , usure, ricatti, forse telecamere nascoste, tracce di dna che saltano fuori a distanza, eccetera e ecc.
Senza tener conto poi che c’è anche tutto da imparare sulla giusta giustizia garantista, sui segreti del Dna e sul sempre affamato e morboso scandalismo che affoga i media.
Manrico Spinori della Rocca affascinante e bon viveur che ricorda fisicamente Marcello Mastroianni è una brillante e azzeccata invenzione di Giancarlo De Cataldo, magistrato, scrittore e melomane convertito che in diciotto mesi è arrivato alla terza avventura godibilissima della sua nuova serie di noir.
Uomo profondamente intelligente e preparato, anticarrierista dichiarato, Spinori è un pensatore elegante, lucido, un uomo tranquillo connesso intimamente alla lirica. Forse perché preferisce la tragica ed esibizionista verità del palcoscenico ai tremendi espedienti della vita? Intanto si serve del melodramma per filtrare fatti ed emozioni. Bel personaggio, lo ripeto ancora, il nostro Manrico. Lui, il contino, educato, flemmatico, simpatico, profondamente umano, sempre riflessivo, ironico, sa apprezzare un buon whisky torbato, potrebbe sembrare un uomo d’altri tempi, e invece è qualcuno che s’impegna fino all’osso, ci mette la faccia e segue sempre le indagini in prima persona, senza interferire ma senza demordere mai.
De Cataldo non sbaglia una virgola, un tono. I dialoghi molto realistici, vivaci e arricchiti dal romanesco verace denotano le sue capacità da provetto sceneggiatore, e in più ci regala vere chicche di informazioni sui meccanismi investigativi e giudiziari..
I legami col melodramma poi ci sono, anzi si sprecano quasi, precisi e sorprendenti, Intanto Spinori si chiama come il protagonista del Trovatore di Verdi. Non dimentichiamo poi che viene chiamato “il contino”, titolo che nelle mozartiane Nozze di Figaro spunta nella cavatina rivolta da Figaro al suo superbo padrone («Se vuol ballare, Signor Contino…»). E altri richiami, continui per rammentarci che non esiste alcuna delittuosa situazione mai evocata o narrata da un’opera. Qui per esempio toccheremo la Turandot di Puccini, la dolce schiava Liù, custode del segreto, sceglie la morte pur di non tradire (avrà fatto così Veronica?). Ne L’Arlesiana di Cilea la fanciulla del titolo non compare mai sulla scena (la storia basata su un’assenza come quella di Veronica, morta da anni). Poi c’è la Lulu di Berg, diabolica adescatrice. Lulu dalle gelide lacrime (“Il suo freddo pianto”). Lulu che mischia le carte in tavola e ribalta la prospettiva del delitto passionale, trasformandolo in una scusa che nasconde solo sporchi giochi di denaro.
Un bel tono poi da giallo all’italiana, rappresentato dai tipi e dalle maschere più rilevanti della eterna commedia dell’arte della penisola . Complimenti.
Il suo freddo pianto – Giancarlo De Cataldo
Patrizia Debicke