Cito di proposito la prima frase della presentazione editoriale che è perfetta per introdurre la storia: «Un pensiero può essere più reale, più vero, di un’azione. Puoi dire qualunque cosa, fare qualunque cosa, ma non puoi fingere un pensiero.» In un qualunque stato all’interno rurale degli Stati Uniti, una macchina percorre nella luce pomeridiana una statale semideserta, circondata dal nulla o quasi. Pochissimo da vedere, qualche casa all’orizzonre, e in lontananza alcune persone, mucche e cavalli , ma soprattutto cielo, nubi, alberi, campi, staccionate, fienili e pecore. Seduta accanto a Jake, al volante, mentre la radio trasmette ossessivamente lo stesso o almeno pare, brano di musica country, la sua ragazza scruta la campagna e continua a pensare che dovrebbe chiudere con lui; forse è arrivato il momento di staccare la spina della loro relazione anche se Jake, con quella sua aria svagata, i capelli lunghi, la sua intelligenza e tutto ciò che le dice, a conti fatti, le piace. Vivono insieme da un po’ si sono conosciuti una sera in un pub in quella cittadina universitaria degli Stati Uniti… Sono per strada, in viaggio per andare a trovare i genitori di Jake. Ma quando infine arriveranno alla fattoria, una casa di pietra, trascurata e sperduta in cima a un vialetto sassoso, la ragazza si troverà coinvolta in un giro di ricognizione di stalle sporche, recinti mal tenuti e pollai puzzolenti per poi entrare in casa a incontrare per la prima volta i genitori di Jake, una coppia a dir poco singolare. Una strana atmosfera che le metterà addosso un’inquietante sensazione di malessere, Sensazione che raggiungerà il culmine con l’arrivo in tavola del dolce di panna, per lei proibito perché intollerante al lattosio. Ma il suo malessere peggiorerà ancora quando, sulla desolante strada del ritorno bagnata dall’oscurità, Jake proponendole di cercare un dolce, fermerà la macchina davanti a un edificio che emerge a fatica dal buio. È un Dairy Qeen, la succursale di una catena di fast food. Anche qui dolci solo con latte ohimè e con il suo rischio di allergie non resta che ripiegare su dei sorbetti. All’uscita, ha persino cominciato a nevicare e, quando sorge il problema di buttare i bicchieri sporchi, Jake proporrà di lasciarli nel bidone del liceo poco lontano. Non resta che deviare dalla statale, avventurarsi per una scivolosa stradina secondaria per raggiungere l’edificio deserto di una grande scuola. Là Jake parcheggerà davanti e, lasciando il motore acceso scenderà, andando dritto verso il bidone della spazzatura. Ma giunto là, dopo averci guardato dentro alzerà le spalle, proseguirà e, superando l’angolo, sparirà… La sua ragazza, rimasta sola in macchina, prima sarà sopraffatta dall’ansia però pian piano quando troverà il coraggio di scendere di macchina per avventurarsi all’interno dell’edificio partirà la carrellata finale di un vertiginoso percorso nel versante più oscuro della realtà, dove scoprire che fine ha fatto Jake fornirà finalmente la inimmaginabile risposta, di cosa sia veramente stato questo impossibile e paranoico viaggio a due. Uno spaventoso viaggio da incubo attraverso la psiche? Molte critiche americane hanno catalogato: Sto pensando di finirla qui come un “Mystery” o uno “Psychological Thriller” . A conti fatti direi pittosto un mixer forse più vicino a uno “Psychological Horror”. Inquietante e misterioso. Gioca a rimpiattino con il lettore? Lo prende in giro? Forse anzi sicuramente infatti «C’è una sola domanda cui dobbiamo dare risposta,» come scriveva sempre Jake sui muri? La stessa domanda del’Uomo che chiama, seguita da: «Ho paura… Ho sempre più paura…» Perché? Sempre di più una certa deriva narrativa americana e non punta al sensazionalismo e a scioccare a ogni costo. La spettacolarità ormai non ha più limiti e il bulimico affannarsi della ricerca del consumismo dilaga, invadendo anche certi sfrenati abissi legati ai disturbi psicologici fino a sublimare l’esaltazione del male e dell’horror. Male e horror che ormai fanno parte integrante del nostro quotidiano e che forse dobbiamo esorcizzare ingigantendoli. Sono precise scelte che evidentemente, in molti casi, pagano. Nel caso di questo romanzo hanno diviso nettamente i lettori tra gli entusiasti firmatari delle cinque stelle su Amazon e i decisi contestatori/detrattori all’ultimo sangue. E tuttavia come diceva Oscar Wilde “Non importa che se ne parli bene o male, l’importante è che se ne parli.” Lo si è fatto, molto, e ha funzionato tanto bene che Charlie Kaufman, premio Oscar per la migliore sceneggiatura originale per Se mi lasci ti cancello, tra i colossi di Holiwood, regista e sceneggiatore l’ha scelto e “romanzato” per il suo film I’m Thinking of Ending Things, destinato a Netflix.
Iain Reid ha esordito nella narrativa con il thriller Sto pensando di finirla qui, pubblicato in venti paesi e presto portato sugli schermi con una produzione originale Netflix. Anche Foe, il suo secondo romanzo, ha riscosso un immediato successo diventando un bestseller.
Ian Reid – Sto pensando di finirla qui
Patrizia Debicke