Il coltello dalla parte del manico
di
Francesca Mogavero
Plic.
Una goccia color lampone precipita giù. Densa, lenta, via via più sferica, è ormai una bolla quando atterra sulla scarpa.
No, sulle Clarks no!
Plic.
Ancora? Da quando non riesco a reggere un bicchiere? Fa’ pure Enrico, spreca il tuo Mohito, tanto qui a Milàn andiamo avanti a ostriche e champagne…
Un momento. Non sono gocce d’alcol. E quello che ho in mano non è…
Un coltello?
Istintivamente lascio cadere l’arma e mi fisso le mani, mentre il cuore salta in gola come il Giallone sui cubetti di porfido. Sangue, sangue sui palmi, sangue che gronda dalle dita, le mie dita!
Altre chiazze sulle Clarks, ma c’è di peggio: sul pavimento si sta allargando una macchia più grande, tentacoli rossi che si allungano verso le suole e minacciano di risalire l’orlo dei jeans. E il lago di sangue sgorga da… Loris! Il vicequestore Sebastiani, il compagno di tante indagini, il mio amico, disteso a terra, pugnalato… da me?
Il petto è immobile, ma il sigaro spento si muove ancora da un lato all’altro della sua bocca, come un indice beffardo che pare dirmi “E questa come la risolvi, Radeschi?”.
Mi guardo intorno: una stanza chiusa, macchinari, roba da nerd… Sono già stato qui, è l’Impossible Station!
«Mi hanno incastrato!» grido.
«No, l’assassino sei tu, té capì?»
È la voce di Beppe Calzolari, il mio caporedattore! Ma perché questo tono da oltretomba? Oh. Ora capisco. È su un sedile in muratura con un foro al centro. In evidente stato di decomposizione. Che ci fa qui il putridarium di San Bernardino? Che l’Impossible Society e la Confraternita delle ossa si siano alleate contro di me?
«Uèla sbarbà!» abbaia Buk. Buk?
Qualcuno mi scrolla, apro gli occhi: Beppe – vivo! – è davanti a me.
«Ben svegliato, pistola! Meneghina e cafè?»
Mi ero appisolato in redazione. Basta Pampero per oggi.