Un ispettore di polizia corrotto dalla vita e da anni di servizio al soldo di poteri più alti dello stato stesso, si ritrova ad indagare su alcune morti sospette nell’area della Capitale.
La pista punterà dritto sull’ambiente sempre più prolifico delle sette sataniche e costringerà l’ispettore Vignola ad indagare a fondo nelle viscere più profonde del male e di coloro i quali scelgono scientemente di seguirlo fino alle conseguenze estreme.
Il romanzo è costruito in modo tale per cui qualunque altra nota sull’intreccio risulterebbe superflua o per lo meno fuorviante, quindi abbandonerei la trama per soffermarmi sul lavoro duro e a volte anche crudo svolto dall’autore. Sotto le parole vibranti che tengono alta la tensione del lettore si nota una minuziosa attività di documentazione sulla realtà delle sette sataniche e sui vari piani di corruzione dello stato italiano e non solo; si ripercorrono anni dolenti del nostro passato e si formulano ipotesi anche abbastanza concrete su vicende ormai dimenticate. Sempre restando nell’ambito della fiction, Nino G. D’Attis riesce nell’intento doppio di far riflettere e di instillare un dubbio nella mente di chi approccia il suo libro, spostando l’attenzione ora sulle mere bassezze dell’animo umano e ora sulle trame politiche del paese. Il mezzo con cui l’autore tiene insieme, questi due ambiti paralleli è rappresentato da una narrazione frammentata ad hoc che muove le vicende dell’ispettore Vignola avanti e indietro nel tempo senza distogliere l’attenzione dal presente, unica miccia che accende tutte le riflessioni del protagonista.
Milanonera ha avuto l’occasione di fare due chiacchiere con Nini G. D’Attis autore del libro:
Ciao Nino, innanzitutto complimenti per come hai trattato in modo non scontato un tema ormai abusato come quello delle sette sataniche, e in questo senso si muove la prima domanda:
Ti è stato difficile recuperare il materiale per scrivere il romanzo?
No, non ho avuto grandi difficoltà. Ho studiato molto, mi sono documentato. Sono bravo a fare i compiti perché è la parte che affronto più volentieri quando sto lavorando ad un nuovo progetto. Mi diverte seguire una pista proprio come un reporter o un detective, poi arriva il punto in cui comincio ad andare da solo per non limitare la fantasia. Sai, ho sempre pensato che se il protagonista di Angel Heart di Alan Parker fosse stato uno scrittore piuttosto che un investigatore privato, forse ce l’avrebbe fatta a fregare Mister Louis Cypher.
L’altro filone che si nota nel libro è quello della ventilata ipotesi di un complottismo sovranazionale che alimenti la tensione fra la gente, intesa come popolino; ti ritieni complottista o meno?
L’immagine del mondo attuale è inquinata dalla paura, le nostre coscienze sono contaminate dalla sfiducia, da un profondo senso di incertezza che è entrato a far parte integrante della nostra cultura. Oggi lamentiamo a ragione la scomparsa del giornalismo d’inchiesta serio e rigoroso a beneficio di un flusso di informazioni false e pilotate, quindi è più facile che la verità si perda in un mucchio di teorie più o meno insensate. Non penso di sentirmi vittima di particolari paranoie ma come essere umano non posso fare a meno di riflettere su questo stato di cose e sulle sue eventuali conseguenze. C’è una canzone di Lou Reed che si chiama Busload of faith e dice: “Puoi contare sul peggio che puntualmente accade”. Nelle mie storie il peggio arriva quando gli interrogativi superano le certezze, sia che si tratti di giochi politici che di drammi individuali.
La scelta di un personaggio che fosse un cattivo, sconfitto, ma cattivo fino in fondo da cosa è motivata?
Mi ispirano le persone con molte zone d’ombra perché a modo loro rispecchiano in maniera più nitida l’uomo. Anche o forse soprattutto quando la loro verità risulta esecrabile, irriferibile. Da un punto di vista narrativo un personaggio negativo è interessante e può offrire le chiavi giuste per interpretare il presente.
Il tuo ispettore Vignola, mi ha ricordato in certi frangenti (ed è chiaramente un complimento) l’ispettore Guido Lopez di Giuseppe Genna, per te Genna è stato una sorta di maestro o semplicemente siete arrivati alle medesime conclusioni indagando ambiti differenti?
Genna è tra i colleghi italiani che stimo di più e sono anche convinto che le lezioni dei maestri si facciano proprie senza pensarci troppo. Detto questo, credo che Lopez e Vignola siano parenti molto alla lontana: l’ispettore creato da Genna è un nichilista usurato dal mestiere che però ci prova ancora, mentre Vignola è di un’altra (brutta) pasta.
La cifra narrativa di Mostri per le masse è particolare e piuttosto ricercata, si tratta di uno stile scelto proprio per questa vicenda, o di un’evoluzione naturale di un percorso che avevi già intrapreso nel tuo romanzo d’esordio Montezuma Airbag Your Pardon?
Per me sono sempre i personaggi a dettare lo stile. È stato così anche nel caso di Montezuma Airbag Your Pardon, il mio romanzo d’esordio: mi viene in mente una storia da sviluppare, arrivano i personaggi e impongono il loro modo di muoversi, di pensare, di dire qualcosa, magari con una particolare inflessione. Fino all’ultima stesura faccio in modo che il lettore riceva esattamente ciò che i personaggi sentono ed esprimono.
Che rapporto hai con la città di Roma? La trovi una città abbastanza Noir?
Vivo nella Caput da quasi un decennio e la trovo piena di sfumature noir ma anche di commedia e grottesco. Mentre scrivevo questo libro l’ho girata in lungo e in largo, attraversandone i quartieri prevalentemente di notte. Ho smesso di farlo solo quando mi sono reso conto che stava diventando un’ossessione ma a quel punto avevo messo da parte abbastanza materiale per chiudere la mia storia. Uscivo portandomi dietro un taccuino e un microregistratore. Parlavo con chiunque: poliziotti, prostitute, barboni, netturbini, ragazzi in fila davanti all’ingresso di un locale. Una sera in metropolitana ho sentito un tizio blaterare qualcosa a proposito del fantasma di Marcello Mastroianni che sosteneva di aver incontrato in Corso Francia e anche questo episodio è finito nel libro, sia pure attraverso un breve accenno. L’ho tenuto come un omaggio all’immagine di Roma che avevo da bambino: Fellini, Mastroianni, Cinecittà, la Ekberg…
Ringraziandoti per la disponibilità ti faccio la classica domanda sui progetti per il futuro.
Una storia d’amore. Almeno credo.